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Il 2010 è stato caratterizzato da catastrofi naturali, disastri ambientali e tragedie umanitarie.
31 Dicembre 2010 - Su tutte le testate in questi giorni di fine anno i redattori si sono sbizzarriti nello stilare le classifiche dell’anno. Il giornale spagnolo El Mundo ha riassunto le catastrofi ambientali del 2010, durante i quali la natura ci ha ricordato quanto siamo vulnerabili davanti a essa. Difficilmente l’anno avrebbe potuto iniziare in modo peggiore: un terremoto devastante ha scosso Haiti, uno dei paesi più poveri del mondo, provocando circa 300.ooo morti. In meno di due minuti Puerto Principe è stata distrutta. Un sisma di magnitudo 7 nella scala Richter ha colpito il sud-ovest di Haiti il 12 di gennaio. Lo stato precario degli edifici, nella cui costruzioni non erano state seguite le norme antisismiche, la povertà e gli scarsi mezzi sanitari hanno contribuito ad aumentare l’enorme numero di vittime. Poco dopo i cileni hanno subito uno dei sismi più forti mai registrati nella storia: il 27 febbraio un forte sisma di magnitudo 8,8 ha scosso il Cile. Sono morte più di 500 persone, la maggior parte a causa del forte tsunami che ha colpito la costa. Le numerose scosse di assestamento dei giorni successivi hanno terrorizzato una popolazione abituata ai terremoti. Il mese successivo un terremoto di magnitudo 6 nella parte orientale della Turchia ha provocato più di 50 morti. Il 14 aprile circa 3000 persone hanno perso la vita nella provincia cinese del Quinghai per un terremoto di magnitudo 7,1. La terra non ha smesso di tremare e nel corso dell’anno si sono verificati violenti sismi anche in Messico, Afghanistan, Iran e Nuova Zelanda. Gli haitiani hanno chiuso l’anno male come l’hanno cominciato. Mentre lottavano contro un’epidemia di colera che ha tolto la vita a migliaia di persone, l’uragano Tomas, ha attraversato il paese distruggendo alcuni villaggi. Fortissimi uragani hanno fatto stragi negli Stati Uniti e nell’America Centrale, dove hanno provocato numerosi danni materiali e hanno causato la morte a decine di persone.
INQUINAMENTO – Il petrolio ha tinto di nero le acque del Golfo del Messico per mesi, raggiungendo un nuovo record tra gli inquinamenti più gravi. Sembrava che il pozzo Macondo non avrebbe mai smesso di sputare petrolio: l’esplosione del 20 aprile di una piattaforma petrolifera della BP al largo della costa della Louisiana ha ucciso 11 lavoratori e ha provocato il più grande scarico accidentale di greggio della storia. Finalmente, dopo cinque mesi di lavori e vani tentativi di frenare l’uscita del greggio, a metà settembre la compagnia inglese è riuscita a chiudere definitivamente il pozzo da qui erano già fuoriusciti 800 milioni di litri di petrolio. Il greggio ha ucciso migliaia di animali e ha provocato perdite milionarie nell’industria della pesca, poichè è stato proibito lavorare nelle acque inquinate. Il petrolio non si vede già più, ma gli scienziati avvertono che il danno causato agli ecosistemi durerà anni e temono che il petrolio sia entrato nella catena alimentare. La rottura di una vasca di resti di alluminio in ottobre ha ricoperto di fango rosso alcuni villaggi ungheresi e ha danneggiato gli ecosistemi del Danubio. Sette persone sono morte e ci sono state decine di feriti. In totale si sono rovesciati un milione di metri cubi in un’area di 40 chilometri quadrati. In estate il Pakistan affrontava le peggiori inondazioni da sempre. Le intense piogge provocate dal monsone sono iniziate alla fine di luglio e hanno colpito più di 20 milioni di persone. Più di 1200 pachistani sono morti e centinaia di migliaia di persone hanno dovuto abbandonare la propria casa. Le inondazioni hanno devastato parte del paese e hanno avuto un effetto spaventoso sulle colture, lasciando milioni di persone senza sostentamento. Allo stesso tempo hanno provocato l’aumento di casi di malattie infettive come diarrea, colera o malaria. Nel 2010 anche Vladimir Putin ha cominciato a credere al cambiamento climatico. I gravi incendi forestali che hanno trasformato la Russia in un falò in agosto, sono stati attribuiti dal presidente russo al riscaldamento globale. Il fuoco ha portato perdite multimilionarie e ha raggiunto anche alcune aree in cui sono è conservato materiale radioattivo. In settembre c’è stata una nuova ondata di incendi nel paese, anche se meno grave di quella di agosto. In totale sono morte circa 60 persone.
TUTTI A TERRA – Il traffico aereo si è trovato in situazioni che erano rimaste inedite fino a quest’anno. La sorpresa dei viaggiatori quando hanno scoperto che i propri voli erano cancellati per colpa dell’eruzione di un vulcano islandese dal nome impronunciabile non ha limitato l’evento. La colonna di fumo e cenere del Eyjafjällajokull ha obbligato a chiudere lo spazio aereo europeo per alcuni giorni di aprile e maggio per il rischio che i motori degli aeroplani venissero danneggiati dalla cenere. Le perdite per la cancellazione dei voli hanno superato i 4000 milioni di euro, secondo una stima di Oxford Economics. Anche le forti nevicate in Europa e negli Stati Uniti hanno lasciato milioni di passeggeri intrappolati negli aeroporti. Secondo l‘Organizzazione Meteorologica Mondiale la temperatura media dell’ultima decade è stata di quasi mezzo grado superiore a quello del periodo tra il 1961 e il 1990. Il 2010 è stato anche, insieme al 1998 e al 2005, l’anno più caldo e potrebbe essere il più caldo della storia. Il progressivo disgelo dell’Oceano Artico dovuto all’aumento delle temperature ha animato le compagnie petrolifere e di gas ha sfruttare questa zona inospitale ricca di risorse, inaccessibile fino a poco tempo fa. La prima è stata la compagnia britannica Cairn Energy che quest’estate ha cominciato ha cominciato ad aprire pozzi dopo aver annunciato di aver trovato gas e petrolio in Groenlandia. Gli ecologisti hanno risposto con varie azioni di protesta per provare di frenare i lavori in questa zona ancora vergine del pianeta.
L’IMPEGNO POLITICO – Nel frattempo, gli incontri politici hanno raggiunto piccoli passi avanti. L‘estinzione è diventata un grave problema di cui i politici stanno prendendo coscienza poco a poco. Gli obbiettivi previsti per quest’anno, che è stato l’anno della biodiversità, non sono stati raggiunti ed è stato necessario raggiungere un nuovo accordo per la prossima decade. Durante l’incontro ONU che si è tenuta nella citta giapponese di Nagoya lo scorso ottobre i 193 paesi partecipanti si sono impegnati a proteggere il 17% delle aree terrestri e il 10% di quelle marine per il 2020. Dopo due settimane di riunioni, i politici raccolti a Cancùn per la conferenza internazionale sul cambiamento climatico hanno raggiunto un modesto accordo per ridurre le emissioni inquinando, rendendo molto difficile il raggiungimento dell’obbiettivo di limitare l’aumento della temperatura a non più di due gradi entro la fine del secolo per prevenire gravi disastri naturali in futuro. La decisione di prolungare il protocollo di Kioto (che dovrebbe terminare nel 2012) è stata approvata e anche se non si è raggiunto un accordo giuridicamente vincolante per diminuire le emissioni di CO2, i partecipanti alla conferenza erano tutti concordi sulla riduzione dell’emissione di gas inquinanti. I partecipanti si sono impegnati a investire 30.000 milioni di dollari entro il 2010 e altri 100.000 milioni dal 2020. La prossima grande occasione pre proseguire nelle negoziazioni riguardo il cambiamento climatico sarà durante la conferenza di Durban, in Sudafrica, che si terrà nel 2011.
FONTE: www.giornalettismo.com
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