E' ufficiale: La "Primavera Araba" finanziata dagli USA
Se anche gli Stati Uniti stanno dirottando miliardi di dollari nei programmi militari e nelle campagne anti-terrorismo, c’è un piccolo gruppo di organizzazioni statunitensi, finanziate dal governo, che sta promuovendo la democrazia negli autoritari stati arabi.
Il denaro speso in questi programmi è poca cosa in confronto agli sforzi condotti dal Pentagono. Ma, proprio quando i funzionari statunitensi tenevano a modello le rivolte della Primavera Araba, hanno potuto notare come le campagne di supporto alla democrazia da loro promosse stavano avendo un ruolo determinante nel fomentare le proteste, e in un modo superiore al previsto, addestrando i capi del movimento per favorire la loro candidatura, tramite l’utilizzo di nuovi supporti mediatici e col monitoraggio delle elezioni.
Una parte dei gruppi e degli individui direttamente coinvolti nelle rivolte e nei tentativi di riforma che hanno scosso la regione, incluso il Movimento Giovanile 6 Aprile in Egitto, il Centro per i Diritti Umani del Bahrein e attivisti di base quali Entsar Qadhi, un giovane leader yemenita, hanno ricevuto addestramenti e finanziamenti da gruppi quali l’International Republican Institute, il National Democratic Institute e Freedom House, un’organizzazione non-profit a difesa dei diritti umani con sede a Washington, in base alle interviste delle ultime settimane e ai dispacci diplomatici statunitensi ottenuti da WikiLeaks.
Il lavoro di questi gruppi provoca frequenti tensioni tra gli Stati Uniti e molti capi del Medio Oriente, che si lamentano della messa in discussione della loro leadership.
Gli istituti Repubblicani e Democratici sono scarsamente connessi ai partiti di riferimento. Sono stati riconosciuti dal Congresso e sono finanziati dal National Endowment for Democracy, creato nel 1983 per veicolare i fondi indirizzati alla promozione della democrazia verso le nazioni in via di sviluppo. Il National Endowment riceve circa 100 milioni di dollari l’anno dal Congresso. Freedom House riceve la gran parte dei propri finanziamenti dal governo USA, principalmente dal Dipartimento di Stato.
Nessuno mette in discussione il fatto che le rivolte arabe abbiano un’origine interna, più che per l’effetto di un’influenza straniera, come viene ipotizzato da alcuni leader mediorientali.
“Non li abbiamo finanziati per iniziare le proteste, ma abbiamo sostenuto lo sviluppo delle loro capacità e del loro lavoro di gruppo”, ha detto Stephen McInerney, direttore esecutivo del Project on Middle East Democracy, un gruppo di ricerca con base a Washington. “Quell’addestramento ha avuto un ruolo negli ultimi avvenimenti, ma è stata la loro rivoluzione. Non l’abbiamo iniziata noi.”
Alcuni giovani capi egiziani hanno partecipato a un meeting sulla tecnologia tenuto a New York nel 2008, dove furono addestrati all’uso dei social network e della tecnologia mobile per promuovere la democrazia; tra gli sponsor della riunione, c’erano Facebook, Google, MTV, la Columbia Law School e il Dipartimento di Stato.
“Abbiamo imparato come organizzare e costruire coalizioni”, sono le parole di Bashem Fathy, un fondatore di un movimento giovanile che ha guidato recentemente le sollevazioni in Egitto. Il signor Fathy, che ha ricevuto addestramento da Freedom House, assicura che “tutto questo ci ha certamente aiutato durante la rivoluzione”.
Il signor Qadhi, un giovane attivista yemenita, ha partecipato a sedute di addestramento tenute in Yemen dagli statunitensi: “Mi hanno aiutato molto perché pensavo che il cambiamento potesse avvenire solo tramite la forza e le armi. Ma ora, ci è chiaro che i risultati possono essere ottenuti con proteste pacifiche e altri mezzi non-violenti.”
Ma alcuni membri dei gruppi di attivisti si sono lamentati in alcune interviste dell’atteggiamento ipocrita degli Stati Uniti, che sosteneva i ribelli e contemporaneamente aiutava anche il governo da loro combattuto.
“Anche se apprezzavamo l’addestramento ricevuto dalle ONG sponsorizzate dal governo USA, che davvero ci hanno aiutato nelle nostre lotte, eravamo al contempo preoccupati del fatto che lo stesso governo lavorava con i servizi d’investigazione che erano responsabili delle persecuzioni e dell’incarcerazione di molti di noi”, sono le parole del signor Fathy, un attivista egiziano.
Alcune interviste con rappresentanti di gruppi non governativi e l’esame di un dispaccio diplomatico ottenuto da WikiLeaks ci mostrano che i programmi di supporto alla democrazia erano fonte costante di tensione tra gli Stati Uniti e molti governi arabi.
I telegrammi, in particolare, ci dimostrano che i leader nel Medio Oriente e nel Nord Africa vedevano questi gruppi con profondo sospetto e hanno sempre cercato di indebolirli. L’operato di questi attivisti costituisce motivo di turbolenza tra i governi, che lamentano l’intromissione dell’Occidente dietro le rivolte, mentre alcuni ufficiali assicurano che persone come il signor Qadhi sono stati addestrati e finanziati dagli Stati Uniti.
I telegrammi tra ambasciate spesso riportano i funzionari statunitensi nel tentativo di placare lo scetticismo dei governi, assicurando loro che l’addestramento aveva l’intenzione di promuovere le riforme e non certo una rivoluzione.
L’anno scorso, ad esempio, pochi mesi prima delle elezioni in Bahrein, alcuni funzionari vietarono l’ingresso nel paese a un rappresentante del National Democratic Institute.
In Bahrein, i funzionari erano preoccupati che l’addestramento politico dei gruppi “beneficia in modo sproporzionato le opposizioni”, secondo quanto riportato in un telegramma del gennaio 2010. In Yemen, dove gli Stati Uniti stanno spendendo milioni in programmi anti-terrorismo, i funzionari si sono lamentati che gli sforzi degli USA per promuovere la democrazia costituivano un’“interferenza negli affari interni.”
Ma in nessun luogo l’opposizione ai gruppi statunitensi era forte quanto in Egitto, dove il governo, che riceveva dagli Stati Uniti 1,5 miliardi di dollari l’anno in aiuti militari e economici, vedeva l’incoraggiamento al cambio di scenario politico con profondo sospetto, persino con indignazione.
Un telegramma diplomatico dall’ambasciata degli Stati Uniti al Cairo datato 9 ottobre del 2007 riportava che Hosni Mubarak, l’allora presidente egiziano, era profondamente scettico sul ruolo degli USA nel promuovere la democrazia.
Una volta, gli Stati Uniti finanziavano i gruppi di riformisti, convogliando i fondi tramite il governo egiziano. Ma nel 2005, sotto l’iniziativa dell’amministrazione Bush, alcuni gruppi locali hanno ricevuto direttamente finanziamenti, con grande sconcerto dei funzionari egiziani.
Secondo un telegramma del settembre 2006, Mahmoud Nayel, funzionario del ministero degli Affari Esteri egiziano, si lamentava con l’Ambasciata statunitense della ‘tattica arrogante’ adottata dal governo americano per promuovere le riforme in Egitto.
L’obbiettivo principale delle rimostranze egiziane erano gli istituti dei Repubblicani e dei Democratici. I telegrammi tra le ambasciate evidenziano che gli ufficiali egiziani si lamentavano del supporto fornito dagli Stati Uniti a ‘iniziative illegali’.
Gamal Mubarak, il figlio dell’ex-presidente, ci viene descritto in un dispaccio del 20 ottobre 2008 “alterato per il finanziamento diretto da parte degli USA delle ONG egiziane.”
Il governo egiziano si è persino appellato a gruppi come Freedom House per interrompere i rapporti con gli attivisti politici del posto e con i gruppi che operano a tutela dei diritti umani. “Gli dicono in continuazione: ‘Perché lavorate con questi gruppi, che non rappresentano niente, tutto quello che hanno sono solo slogan”, sono le parole di Sherif Mansour, un attivista egiziano, responsabile dei programmi per il Medio Oriente e il Nord Africa di Freedom House.
Da quando la stima che riscuotevano presso il governo USA è scemata, le autorità egiziane hanno reagito con la restrizione delle attività delle ONG statunitensi.
Gli alberghi che avevano ospitato le sessioni di addestramento furono chiusi per rinnovo, i membri dello staff dei gruppi pedinati e gli attivisti locali hanno ricevuto intimidazioni e sono stati incarcerati. I giornali di proprietà dello Stato hanno accusato gli attivisti di ricevere denaro dalle agenzie d’intelligence statunitensi.
L’affiliarsi con le organizzazioni statunitensi può aver messo in discussione i leader all’interno dei loro gruppi. Secondo un dispaccio diplomatico, i capi del Movimento Giovanile 6 Aprile in Egitto hanno riferito nel 2009 all’Ambasciata statunitense che alcuni membri del gruppo avevano accusato Ahmed Maher, un leader delle rivolte di gennaio, e anche altri capi di ‘tradimento’ in un falso processo, per la loro associazione a Freedom House, che molti militanti del movimento descrivono come un’“organizzazione sionista”.
Un importante blogger, secondo il telegramma, ha minacciato di postare sul suo sito le informazioni sui collegamenti tra i capi del movimento e Freedom House.
Non ci sono prove che tutto ciò sia realmente accaduto e un telegramma successivo mostra in verità che il gruppo ha estromesso i membri che si lamentavano di Maher e degli altri leader.
Vista la contrarietà dei propri governi, alcuni gruppi hanno trasferito le loro sessioni di addestramento in paesi più amichevoli, quali come Giordania e il Marocco. Anche loro hanno inviato attivisti negli Stati Uniti per l’addestramento.
Roy Nixon
Fonte: www.nytimes.com
Link: http://www.nytimes.com/2011/04/15/world/15aid.html?pagewanted=1&_r=2&emc=eta1
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