Le leggi della fisica sono davvero le stesse sempre e ovunque?
Questo assunto fondamentale potrebbe essere messo in discussione da dati, in attesa di conferma, ottenuti dall'osservazione delle emissioni di antichissimi quasar
Il valore delle costanti cosmologiche ha da molto tempo suscitato ampi dibattiti fra i cosmologi, inducendo alcuni di essi a formulare addirittura ipotesi come il noto "principio antropico". In particolare, la cosiddetta costante di struttura fine alfa, che pone in relazione fra loro le principali costanti fisiche dell'elettromagnetismo, è pari a 1/137,0359: se essa fosse appena il quattro per cento superiore o inferiore a tale valore, le stelle non sarebbero in grado di produrre carbonio e ossigeno e, di conseguenza, nell'universo non sarebbe potuta svilupparsi la vita quale la conosciamo.
Ora, i risultati di uno studio condotto da ricercatori dell'Università del Nuovo Galles del Sud indicano che miliardi di anni fa il valore di alfa potrebbe essere stato, sia pur di poco, differente in diverse direzioni dell'universo, risultando un poco più piccolo nell'emisfero nord, rispetto al piano galattico, e più grande in quello sud. Se così fosse, sarebbe possibile che la costante di struttura fine sia in continua variazione nello spazio oltre che nel tempo.
La ricerca, diretta da John Webb, e pubblicata in bozza di lavoro sul sito arXiv, si è basata sui dati ottenuti con il telescopio Keck a Mauna Kea, nelle Hawaii, e con il Very Large Telescope (VLT) a Paranal, in Cile, con i quali sono stati osservati oltre 100 quasar.
Misurando gli spettri di questi quasar, i ricercatori hanno raccolto dati sulla frequenza di emissione di radiazione elettromagnetica di quelli con un elevato redshift, corrispondente a un'epoca di circa 10 miliardi di anni fa. Nel corso del viaggio verso di noi specifiche lunghezze d'onda sono state assorbite da nubi estremamente antiche di gas di cui è così possibile rivelare la composizione chimica. A sua volta, questa composizione è utile per determinare la costante di struttura fine dell'universo in quei remoti tempi.
Combinando i dati ottenuti dai due telescopi, che puntano in direzioni opposte, i ricercatori hanno così trovato che 10 miliardi di anni fa alfa può essere stata maggiore di una parte su 100.000 nella direzione sud e inferiore di una parte su 100.000 in direzione nord, una deviazione sufficiente a essere considerata statisticamente significativa.
La scoperta, che ora necessita di essere confermata attraverso altri metodi sperimentali, potrebbe scuotere l'assunzione fondamentale che le leggi fisiche sono ovunque le stesse nell'universo, osservano i ricercatori, che notano anche che essi violano anche il principio di equivalenza di Einstein, implicando che l'universo potrebbe essere molto più grande di quanto finora ritenuto. (gg)
Fonte:http://lescienze.espresso.repubblica.it
Questo assunto fondamentale potrebbe essere messo in discussione da dati, in attesa di conferma, ottenuti dall'osservazione delle emissioni di antichissimi quasar
Il valore delle costanti cosmologiche ha da molto tempo suscitato ampi dibattiti fra i cosmologi, inducendo alcuni di essi a formulare addirittura ipotesi come il noto "principio antropico". In particolare, la cosiddetta costante di struttura fine alfa, che pone in relazione fra loro le principali costanti fisiche dell'elettromagnetismo, è pari a 1/137,0359: se essa fosse appena il quattro per cento superiore o inferiore a tale valore, le stelle non sarebbero in grado di produrre carbonio e ossigeno e, di conseguenza, nell'universo non sarebbe potuta svilupparsi la vita quale la conosciamo.
Ora, i risultati di uno studio condotto da ricercatori dell'Università del Nuovo Galles del Sud indicano che miliardi di anni fa il valore di alfa potrebbe essere stato, sia pur di poco, differente in diverse direzioni dell'universo, risultando un poco più piccolo nell'emisfero nord, rispetto al piano galattico, e più grande in quello sud. Se così fosse, sarebbe possibile che la costante di struttura fine sia in continua variazione nello spazio oltre che nel tempo.
La ricerca, diretta da John Webb, e pubblicata in bozza di lavoro sul sito arXiv, si è basata sui dati ottenuti con il telescopio Keck a Mauna Kea, nelle Hawaii, e con il Very Large Telescope (VLT) a Paranal, in Cile, con i quali sono stati osservati oltre 100 quasar.
Misurando gli spettri di questi quasar, i ricercatori hanno raccolto dati sulla frequenza di emissione di radiazione elettromagnetica di quelli con un elevato redshift, corrispondente a un'epoca di circa 10 miliardi di anni fa. Nel corso del viaggio verso di noi specifiche lunghezze d'onda sono state assorbite da nubi estremamente antiche di gas di cui è così possibile rivelare la composizione chimica. A sua volta, questa composizione è utile per determinare la costante di struttura fine dell'universo in quei remoti tempi.
Combinando i dati ottenuti dai due telescopi, che puntano in direzioni opposte, i ricercatori hanno così trovato che 10 miliardi di anni fa alfa può essere stata maggiore di una parte su 100.000 nella direzione sud e inferiore di una parte su 100.000 in direzione nord, una deviazione sufficiente a essere considerata statisticamente significativa.
La scoperta, che ora necessita di essere confermata attraverso altri metodi sperimentali, potrebbe scuotere l'assunzione fondamentale che le leggi fisiche sono ovunque le stesse nell'universo, osservano i ricercatori, che notano anche che essi violano anche il principio di equivalenza di Einstein, implicando che l'universo potrebbe essere molto più grande di quanto finora ritenuto. (gg)
Fonte:http://lescienze.espresso.repubblica.it
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