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    Enzo Maiorca: I miei abissi

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    Messaggio  Mirella Mer Set 22, 2010 6:47 am

    Enzo Maiorca: I miei abissi Maiorca
    Mare da amare


    Siracusa - Era il trionfo della luce sulle tenebre. Allora intese definitivamente la ragione che avrebbe avvinto ogni sub, ogni uomo di mare: trovare il Supremo Architetto dell'Universo.
    Da lì tutto si sarebbe compiuto, ogni anello di una vita speciale si sarebbe saldato, in quella grotta, incastrata nella parete di scirocco a otto miglia dalla costa, il recordman Enzo Maiorca avrebbe recitato una volta di più la sua orazione, indossato i paramenti, affrontato il suo viaggio intestino, nelle profondità abissali che ha incocciato, curioso e umile, paradigma egli stesso di un'epica valorosa; il viaggio di un uomo che molta scienza ha voluto straordinario oltre ogni ragionevole dubbio.
    Lui la ricorda così la grotta che divenne tempio: «Mi immersi perché cercavo il corallo. Non volevo raccoglierlo, ero curioso, volevo guardarlo. Mi indicarono quella zona. Così vidi la gigantesca caverna, la cui volta mi sembrava fosse sostenuta da due colonne. Pensai ad un fenomeno di bradisisma. Dissi tra me: chissà in quale tempo e chissà quale tempio era in origine. Ero anche un po' teso, non era una situazione facile. Mi inoltrai nelle tenebre, fra le due colonne, gli occhi andarono al soffitto, vidi due fori frastagliati e di discrete dimensioni, in grado di trattenere i raggi del sole».

    Due coni di luce intatta e ripida tagliavano il buio di netto. Era un'epifania, era la luce sul buio, la metafora della vita stessa, il trionfo del bene sul male, della resurrezione sulla morte. La luce era Dio. Dio. Enzo Maiorca lo ha incontrato, lo ha aspettato dice: «Biondo, nazareno, capellone; non il giudice, l'usciere implacabile; il Padre piuttosto che mi avrebbe accettato così come sono». La luce era Dio. Da lì, da una grotta nel Canale di Sicilia, in quel Tempio incavato, 45 metri sotto la superficie dell'acqua, potrebbe iniziare questa storia, una storia d'amore, di fede e di delfini anche.
    E invece comincia molto prima, in una piccola e delicata baia, dietro la via Grottasanta, lungo il litorale ruvido e intenso a nord di Siracusa. In via Grottasanta abitava Enzo Maiorca che era ancora ragazzino. Il mare sarebbe diventato il suo destino. Con un no. «No, non puoi frequentare l'Accademia navale».
    Enzo Maiorca aveva 17 anni, il padre era irremovibile. Niente accademia di Livorno. «Dovrai fare il medico», gli ordinò. Quell'uomo speciale, che era appena un ragazzino,voleva diventare ufficiale di marina. C'era un destino che attendeva il suo momento, tuttavia. Ma non era ancora l'ora. E nella baietta di Grottasanta quell'uomo speciale provava i suoi stranissimi poteri, benché oggi dica: «No, non sono un superuomo».

    Benché i suoi valori (tanto sentenziarono scienziati da ogni parte del mondo) rientrassero in parametri comuni ad ogni essere umano. Eppure ogni gesto, ogni azione di Enzo Maiorca, dentro un lungo e affascinante lasso di tempo, la sua esistenza, si è irreparabilmente rivelata esemplare, assoluta, l'archetipo di una forza universale, un mandato nobile, un registro che avrebbe confortato persino gli scettici: l'uomo contiene, l'uomo è il soffio di Dio. Eccola, la soluzione. Il mare era già il suo destino.

    Lui ricorda: «Era una piccola baia. Ero un ragazzino. Mi spingevo giù per curiosità. Perché dalla superficie notavo un brillìo dorato sul fondo, erano le telline che raccoglievano la luce del sole e la riflettevano verso l'alto. Sembravano monetine d'oro ed io mi sentivo ricco. Ed io lo ero ricco».
    Ancora oggi, il mare insegna, è la sua preghiera, un Padre Nostro, la giaculatoria. I paramenti sono la pelle del sub, è la muta, basta a volte solo una maschera. E' una preghiera. Enzo Maiorca era un ragazzino, voleva fare l'ufficiale. Il padre lo ammonì, apprensivo, mansueto: «Ricordati, Enzo, disse Pulcinella, al mare non ci sono taverne». Ma forse non sarebbero servite. Bastava conoscere l'umiltà, il mare «era la via su cui mi sarei mosso, che Dio mi ha voluto mostrare per condurmi al Suo cospetto».

    Ogni marinaio teme il mare; non esiste un marinaio ateo. Enzo Maiorca dice: «Non puoi non riconoscere l'Assoluto, se vai per mare». Lui, l'amico di sempre, Pippoventidue (scritto così), i marinai del porto di Siracusa, i pescatori, quelli che raggiungevano le lontananze turchine, «i mari ri fora a fora», i marinai che «guardavano verso la terra, che la intuivano guidati dal fuoco del Mongibello, la fiamma contro le nuvole», ognuno in cuor proprio avrebbe riconosciuto una mano superiore, la stessa che salvò Pippoventidue dai marosi al largo di Siracusa; la stessa che accompagnava nella «dura fatica del remo, nell'aspra paura della vela».

    Enzo Maiorca è stato l'uomo dei record. Il primo: 45 metri, 1960, al largo di Ognina, aveva 29 anni. L'ultimo: 100 metri, 1989, al largo delle coste di Fontane Bianche, aveva 58 anni. E' stato l'uomo sul quale lo studioso Fraser concepì la teoria del blood shift. Scivolamento ematico, lo scudo capace di proteggere dalla pressione idrostatica l'uomo in apnea. Pressione pesante come una macina, un giogo, che aumenta di una atmosfera ogni 10 metri, che stritola uno squalo di acciao come un sommergibile, ma non l'uomo in apnea. Scivolamento del sangue, liquido ematico che confluisce dalle estremità periferiche, mani e gambe, al cuore, ai polmoni. Eccola la soluzione, l'uomo è il soffio di Dio, non un battito che l'Altissimo non voglia, una lacrima, una gioia.

    «Non ci sono superuomini - dice -. Io non lo sono stato, non lo sono. Il superuomo casomai vola da una vetta all'altra soffrendo. L'uomo comune no, io sono un uomo comune». Che ha agito eccezionalmente. Chi può negarlo? Ma questa è soprattutto una storia d'amore e di delfini anche.
    Era il 1990. Mare aperto, poche miglia dal porto di Siracusa. Enzo, Patrizia, Rossana Maiorca, l'amico di sempre, Pippoventidue. Litigano, scherzosamente, litigano sui tagli, i costoni di roccia che sprofondano verso il mare. Sono là, no, sono di qua. E' una fresca mattina d'estate, in barca.
    Enzo Majorca racconta. «D'un tratto sentimmo un movimento vorticoso tutto intorno alla barca. Era un delfino. I delfini di solito procurano gioia, quella volta invece provammo tutti una grande angoscia. Decidemmo di buttarci in mare, maschere, pinne e coltello. Capimmo subito che il delfino voleva dirci qualcosa, desiderava che lo seguissimo. Scendemmo con lui a circa 15 metri. Allora ci accorgemmo dell'altro esemplare, intrappolato in una spadara, una rete killer per delfini, balene, tartarughe. Il delfino era scosso da singulti. Lo liberammo e come dei barellieri lo accompagnammo in superficie. E fu in superficie che subito partorì il suo piccolo. Il delfino in trappola era una delfina gravida, e chi ci accompagnò era senz'altro il capofamiglia, il compagno, il padre. Li vedemmo allontanarsi. Quella immagine ci riempì la vita, e lo fa ancora oggi».

    Il mare e le sue telline, le monetine preziose, le sue metafore, fornite agli umili, agli audaci, ai cuori innocenti. Eccola la soluzione: «L'uomo non è riconducibile a un'equazione algebrica. L'uomo è molto di più», dice il recordman. L'uomo è un essere aerobico, è vero. Non è questa una spiegazione sufficiente, però. L'uomo ha memoria genetica del mare, la sua immersione previtale, intrafetale, è la chiave di volta. Un superuomo non ha paura, forse. Enzo Maiorca ha una sua precisa idea: «La paura è una compagna, sempre».

    E poi ci sono le due paroline magiche: con e contro. E la vita, la sua, le ha usate spesso. Con e contro. La luce sulle tenebre. Il bene e il male, la gioia e il dolore. Semplice. La metafora di una permanenza preordinata consegnata dal mare, tutte le volte, ad ogni immersione. E tutte le volte, una preghiera, l'orazione nel tempio, le due colonne e i coni di luce nell'abisso, il Padre Nostro, le giaculatorie. Una lunga liturgia, la storia di un uomo speciale. Al quale è stata offerta la possibilità di intercettare nell'infinitamente piccolo, negli abissi e nelle lontananze turchine il senso di un Amore Supremo, una lezione intima e morale, il mare, la via sull'infinito. E un tempio dove tornare.

    Nemmeno Luc Besson nel suo «Le grand bleu» ha saputo tradurre la strordinarietà di un uomo come tanti. Lui dice che è stato fortunato anche, che non era invincibile, che sarebbe stato un rischio altrimenti. Lui dice che è stato consapevole, che si trattava di limiti e basta. Lui crede di essere un uomo comune, dentro una storia speciale.
    Enzo Maiorca: I miei abissi Maiorca_adotta_delfino

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