TRAMA:
Nata nell'inverno dell'814 d.c., Johanna è la figlia indesiderata del prete del villaggio, che investe il suo tempo a istruire i figli maschi e a battere la consorte. Ostinata e decisamente illuminata, Johanna viene notata dal maestro greco Esculapio che, vincendo la ritrosia paterna, asseconda ed educa la sua sensibilità. Ma la partenza dell'anziano saggio, rigetterà la fanciulla al suo destino di donna, almeno fino a quando Johanna non si darà alla fuga, scegliendo per sé un diverso avvenire nella scuola della cattedrale di Dorstadt. Protetta dalla nobiltà del Conte Gerold, avvierà, tra gelosia e dileggio, i suoi studi. Invaghitasi di Gerold, proverà a resistere a quel sentimento votandosi ai libri e alla cultura ma la guerra e la crudeltà delle irruzioni sassoni li separeranno. Johanna, costretta a risolvere la propria sorte e indossati abito e identità maschili, troverà riparo nel monastero benedettino di Fulda, dove verrà edotta nell'arte medica e nella teologia col nome di Johannes Anglicus. La paura di essere scoperta e punita come impostore la porterà infine a Roma, dove la sua dedizione ai malati e gli incredibili successi professionali non passeranno inosservati. Condotta al talamo di Papa Sergio, afflitto dalla malattia, ne diventerà presto medico e consigliere. Scampato alla morte il Santo Padre, poi avvelenato da vescovi invisi, il monaco guaritore è destinato ad occupare il seggio di Pietro. L'incontro inaspettato con Gerold e la congiura di chi brama a deporla, lambiranno e minacceranno l'autorità spirituale del “Papa Populi”.
La Papessa è la seconda carta degli Arcani Maggiori dei Tarocchi e rappresenta la coscienza femminile opposta al principio maschile (il Bagatto). Raffigurata come una sacerdotessa o in vesti da monaco, è simbolo di sapienza e intende la conoscenza. Questa è pure l'interpretazione e la lettura che Sönke Wortmann attribuisce alla “papessa” ispirata dalle pagine del bestseller della statunitense Donna Woolfolk.
Non è certo la prima volta che il cinema si dedica a Johanna Anglicus, la donna che in barba alla misoginia integralista della Chiesa occupò la carica di Pietro e regnò presumibilmente tra Leone IV e Benedetto III. Mito o leggenda medievale, la donna che si fece monaco benedettino e poi Papa Populi fu interpretata nel 1972 dal fascino norvegese di Liv Ullman nel film di Michael Anderson. Diversi anni e pontefici maschi dopo è Johanna Wokalek a portarla sullo schermo in un film che ripropone il genere storico e la dimensione del kolossal.
Dopo l'Agorà di Amenábar, storia delle filosofa e astronoma Ipazia colpita a morte dai colpi dell'intolleranza religiosa nell'Alessandria d'Egitto del IV secolo, compete a Wortmann l'accesso di una donna illuminata alla piazza e all'arena allestita dagli uomini. L'ottica prescelta è la medesima e dispone il sesso gentile a baluardo della forza del pensiero e della conoscenza in un mondo destinato agli uomini. Padri, tutori, della legge e della religione, che guardano alla donna come una versione imperfetta dell'uomo, “naturalmente” più adatta alla riproduzione, alla cura dei figli e a una vita all'interno della casa. Niente stelle da guardare, niente libri da consultare, nessuna presenza o attività sulla scena sociale.
Il limite del film sta però nel non riuscire a trasformare in cinema le ambizioni programmate e il valore del soggetto trattato. La ricostruzione approssimativa, la sottotrama romantica, i personaggi appena abbozzati tolgono consistenza alla credibilità del racconto e all'esistenza di una donna pontefice compromessa dal “capitano di Gondor” di David Wenham e omessa (presumibilmente?) dalle registrazioni storiche.
Gio Mar 22, 2012 10:10 pm Da Filippo Bongiovanni
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