L’ultima volta che Mino Damato arrivò a Teramo fu nel giugno del 2001. Era uscito da poco il mio libro Così dice Montanelli, che racconta, fra l’altro, la nostra storia professionale, con prefazione di Bruno Vespa. Altro compagno di lavoro a Il Tempo, con Mino D’Amato, Gianni Letta e altri. C’ero anch’io a condividere la passione per il giornalismo e a frequentare da privilegiato una grande scuola.
Nella fucina di talenti di Palazzo Wedekind, a Piazza Colonna, sede del quotidiano Il Tempo. Maestro di tutti noi, l’impareggiabile direttore-editore Renato Angiolillo, che attorno alla sua testata aveva radunato le firme più celebri e prestigiose. Noi giovanissimi con il sogno del giornalismo avevamo formato una famiglia assai unita di amici nella redazione di piazza Colonna. Mino Damato, che ci ha lasciati purtroppo in questi giorni (aveva 73 anni e sempre una grande voglia di aiutare i più deboli), era particolarmente vivace e intelligente.
Poliedrico, direi. Con molti interessi, e si distingueva per professionalità e intelligenza. Ricordo i tempi beati della Fiat 600, l’auto-mito che faceva sognare tutti, quando possedere la “quattro ruote” era l’aspirazione di tutti. Mino, esperto persino di motori, scrisse un pamphlet sull’”auto che uccide” (un libro con dedica che conservo gelosamente in biblioteca). La pubblicazione non piacque a qualcuno molto in alto nella casa automobilistica di Torino. Damato fu costretto a fare le valigie e a lasciare il giornale. Finì alla Rai con regolare assunzione. Lo stipendio arrivava regolarmente, per non fare niente, come capitava allora alla Rai. Ma Mino era un vero professionista. Capace, ricco di idee e iniziative.
Non sapeva adattarsi, questo il difetto, ai compromessi e al “tiriamo a campare”. Da uomo e giornalista libero, pronto a pagare qualsiasi prezzo, pur di restare se stesso. Né avrebbe accettato dalla Rai uno stipendio senza guadagnarselo. Tanto che fu costretto a dimettersi, trasformando il rapporto da interno a collaboratore esterno, per poter lavorare. Visto che per i giornalisti in pianta stabile il lavoro era una specie di optional nella Rai di allora.(Non so oggi).
Mino fu veramente contento, quando finalmente ebbe un incarico, sia pure impegnativo e rischioso da inviato di guerra. Andò in Afghanistan e da quel paese realizzò la prima diretta, con tanti altri servizi, che lo confermarono inviato speciale di razza e giornalista di grande talento. Anche nella nuova attività, restò legato a noi vecchi amici e colleghi. E quando lo invitai a Teramo, per raccontare le sue esperienze da inviato di guerra, fece l’impossibile e trovò una serata da trascorrere a Teramo.
Dove fu ospite del Lions Club e di Berardo Taraschi presidente. Mino arrivò in maglietta e jeans, abbigliamento che stonava un po’ con l’abito scuro e la cravatta di certi ambienti. Un particolare subito dimenticato. Non appena l’”inviato di guerra” aprì bocca, per commentare i filmati eccezionali realizzati in un paese dilaniato dalla guerra, portando esperienze e testimonianze di prima mano. Bravissimo nel catturare l’attenzione di tutti con il fascino della sua parola. In televisione aveva realizzato poi molte altre trasmissioni, arrivando persino alla conduzione di Domenica In. Giornalista nato, Mino era anche un uomo di spettacolo, un grande professionista che sapeva abbracciare vari campi. Ma essenzialmente sapeva essere un uomo libero, nemico di ogni compromesso.
Quanto bastava per non durare in un ambiente come la Rai. Tant’è che, negli ultimi anni, se ne era allontanato, dedicandosi ad iniziative in cui meglio avrebbe potuto esprimere il suo spessore di cultura e umanità: le iniziative umanitarie. Aveva adottato una bambina rumena, poi vittima dell’Aids e a suo nome aveva creato in Romania un complesso che è un autentico monumento alla solidarietà. Di questo suo impegno mi aveva parlato in occasione della visita Teramo per la presentazione del mio libro.
Era un pomeriggio di giugno 2001, quando Mino Damato, nella sala consiliare del Comune, incontrò una platea numerosa e fu, come sempre, un abbraccio di calore e affetto, in omaggio ad un personaggio popolare e familiare. Come Mino sapeva essere con noi amici e con tutti.
Scritta da Marcello Martelli
Fonte: Piazza Grande - Quotidiano di informazione Abruzzese
L'opera nata da un suo atto di volontà, la FONDAZIONE BAMBINI IN EMERGENZA
Una persona che ha sempre rifuggito la visibilità, e che personalmente ho sempre apprezzato e stimato anche come giornalista.
Un grande uomo. Ciao Mino, ci mancherai.
Nella fucina di talenti di Palazzo Wedekind, a Piazza Colonna, sede del quotidiano Il Tempo. Maestro di tutti noi, l’impareggiabile direttore-editore Renato Angiolillo, che attorno alla sua testata aveva radunato le firme più celebri e prestigiose. Noi giovanissimi con il sogno del giornalismo avevamo formato una famiglia assai unita di amici nella redazione di piazza Colonna. Mino Damato, che ci ha lasciati purtroppo in questi giorni (aveva 73 anni e sempre una grande voglia di aiutare i più deboli), era particolarmente vivace e intelligente.
Poliedrico, direi. Con molti interessi, e si distingueva per professionalità e intelligenza. Ricordo i tempi beati della Fiat 600, l’auto-mito che faceva sognare tutti, quando possedere la “quattro ruote” era l’aspirazione di tutti. Mino, esperto persino di motori, scrisse un pamphlet sull’”auto che uccide” (un libro con dedica che conservo gelosamente in biblioteca). La pubblicazione non piacque a qualcuno molto in alto nella casa automobilistica di Torino. Damato fu costretto a fare le valigie e a lasciare il giornale. Finì alla Rai con regolare assunzione. Lo stipendio arrivava regolarmente, per non fare niente, come capitava allora alla Rai. Ma Mino era un vero professionista. Capace, ricco di idee e iniziative.
Non sapeva adattarsi, questo il difetto, ai compromessi e al “tiriamo a campare”. Da uomo e giornalista libero, pronto a pagare qualsiasi prezzo, pur di restare se stesso. Né avrebbe accettato dalla Rai uno stipendio senza guadagnarselo. Tanto che fu costretto a dimettersi, trasformando il rapporto da interno a collaboratore esterno, per poter lavorare. Visto che per i giornalisti in pianta stabile il lavoro era una specie di optional nella Rai di allora.(Non so oggi).
Mino fu veramente contento, quando finalmente ebbe un incarico, sia pure impegnativo e rischioso da inviato di guerra. Andò in Afghanistan e da quel paese realizzò la prima diretta, con tanti altri servizi, che lo confermarono inviato speciale di razza e giornalista di grande talento. Anche nella nuova attività, restò legato a noi vecchi amici e colleghi. E quando lo invitai a Teramo, per raccontare le sue esperienze da inviato di guerra, fece l’impossibile e trovò una serata da trascorrere a Teramo.
Dove fu ospite del Lions Club e di Berardo Taraschi presidente. Mino arrivò in maglietta e jeans, abbigliamento che stonava un po’ con l’abito scuro e la cravatta di certi ambienti. Un particolare subito dimenticato. Non appena l’”inviato di guerra” aprì bocca, per commentare i filmati eccezionali realizzati in un paese dilaniato dalla guerra, portando esperienze e testimonianze di prima mano. Bravissimo nel catturare l’attenzione di tutti con il fascino della sua parola. In televisione aveva realizzato poi molte altre trasmissioni, arrivando persino alla conduzione di Domenica In. Giornalista nato, Mino era anche un uomo di spettacolo, un grande professionista che sapeva abbracciare vari campi. Ma essenzialmente sapeva essere un uomo libero, nemico di ogni compromesso.
Quanto bastava per non durare in un ambiente come la Rai. Tant’è che, negli ultimi anni, se ne era allontanato, dedicandosi ad iniziative in cui meglio avrebbe potuto esprimere il suo spessore di cultura e umanità: le iniziative umanitarie. Aveva adottato una bambina rumena, poi vittima dell’Aids e a suo nome aveva creato in Romania un complesso che è un autentico monumento alla solidarietà. Di questo suo impegno mi aveva parlato in occasione della visita Teramo per la presentazione del mio libro.
Era un pomeriggio di giugno 2001, quando Mino Damato, nella sala consiliare del Comune, incontrò una platea numerosa e fu, come sempre, un abbraccio di calore e affetto, in omaggio ad un personaggio popolare e familiare. Come Mino sapeva essere con noi amici e con tutti.
Scritta da Marcello Martelli
Fonte: Piazza Grande - Quotidiano di informazione Abruzzese
L'opera nata da un suo atto di volontà, la FONDAZIONE BAMBINI IN EMERGENZA
Una persona che ha sempre rifuggito la visibilità, e che personalmente ho sempre apprezzato e stimato anche come giornalista.
Un grande uomo. Ciao Mino, ci mancherai.
Gio Mar 22, 2012 10:10 pm Da Filippo Bongiovanni
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