Nella giungla a caccia di Percy Fawcett e dell’Eldorado che esiste davvero
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Percy Harrison Fawcett scomparve nel 1925 mentre cercava le tracce di una città perduta nel cuore dell’Amazzonia.
Oggi una serie di scoperte archeologiche nella zona dello Xingu conferma la giustezza della sua intuizione.
A destra la ricostruzione diunodei grandi insediamenti cheunteam americano sta esplorando.
Eldorado: il regno del magico Cacique che appare al suo popolo ricoperto di polvere d’oro, la terra mitica che conquistadores ed esploratori sono andati a cercare per tutta l’Amazzonia, a partire da Gonzalo Pizarro che ritornò dalla giungla mezzo morto e avvolto di stracci o da quel Lope de Aguirre che in fuga dal Perù sbucò nell’Atlantico attraverso l’Orinoco.
Sarebbe arduo fare l’elenco dei moltissimi che, avendo minor cattiveria o fortuna, nel tentativo di compiere questa impresa hanno lasciato la pelle. Sono migliaia e le loro ossa sono sparse lungo il Rio delle Amazzoni. Eppure fra questi razziatori, geografi, sognatori e idioti (il confine tra le categorie era assai labile) ce n’è uno che ha lasciato traccia permanente nella fantasia e nella memoria. È l’inglese Percy Harrison Fawcett (1867-1925).
Baffi a manubrio, fisico possente, salute d’acciaio (quando i portatori crollavano per la malaria lui fischiettava fra le mangrovie) Fawcett fu, per certi versi, l’ultimo erede dei grandi esploratori vittoriani, come Livingstone e Stanley, nonché il primo dei grandi viaggiatori moderni con l’uzzolo dell’antropologia.
Nelle sue moltissime spedizioni sudamericane questo ex militare, diventato uno dei più brillanti geografi della Royal Geographical Society, non solo mappò territori sconosciuti, come quelli del Rio Verde, ma riuscì anche a stabilire contatti pacifici con moltissime tribù. Abbastanza perché Conan Doyle si ispirasse alle sue avventure per scrivere Il mondo perduto del 1912 e Hemingway tenesse sul comodino una copia dei suoi diari.
Ecco perché quando, nel gennaio 1925, l’esploratore si imbarcò sulla SS Vauban per tornare in Amazzonia dichiarando che al suo ritorno avrebbe rivelato al mondo l’ubicazione di una città perduta nel mezzo della giungla, prova definitiva che l’Amazzonia era stata una delle culle della civiltà, il mondo impazzì.
I titoli dei giornali avevano tutti questi toni: «La spedizione di Fawcett... nella terra del non ritorno» o «Fawcett e la scoperta dell’Eldorado».
Ad avverarsi però fu solo la «predizione» del non ritorno. L’esploratore scomparve nella giungla dello Xingu. Ci vollero mesi solo per rendersi conto della situazione, anni per far partire i soccorsi.
Il primo tentativo, quello di George M. Dyott nel 1928, non portò alcun risultato. L’ultimo dato sicuro: gli indios Kalapalo avevano ospitato Fawcett e i suoi compagni, poi li avevano visti partire, scorgendo in lontananza per alcuni giorni il fumo dei loro accampamenti. Poi basta. Troppo lontani o vittime di popolazioni ostili? Oppure i Kalapalo non la raccontavano giusta? L’unica certezza è che dagli anni ’30 in poi i tentativi di scoprire il destino dell’esploratore sono stati tanti: qualcuno ha parlato di «fawcettmania».
E molti di coloro che hanno seguito le orme di quella avventura hanno avuto guai. Mortali.
Queste vicende le potete leggere in Z La città perduta di David Grann (Corbaccio, pagg. 386, euro 19,90). Grann, giornalista del New Yorker, non ha solo scritto un saggio che prende l’abbrivio dalla vita di Fawcett per raccontare l’esplorazione dell’Amazzonia. Si è interessato alla vicenda al punto da beccarsi un brutto attacco di fawcettmania e da partire per la foresta pluviale.
Nemmeno lui ha trovato una soluzione alla scomparsa di quell’uomo che attraversava la giungla in casco coloniale. In compenso ha trovato degli archeologi che, proprio nelle zone in cui si avventurò Fawcett, hanno scoperto i resti di campi fortificati, di strade.
Sono tutti materiali difficili da indagare perché la civiltà india usava il legno e non la pietra. In ogni caso si parla di insediamenti di migliaia di persone abitati tra il IX e il XVII secolo. Insomma, per usare le parole di uno degli studiosi che le ha scoperte, il professor Heckenberger, sono centri «costruiti seguendo una sofisticata geometria e con un ingegneria paragonabile a quella europea».
Non sarà stato l’Eldorado, ma il Livingstone dell’Amazzonia, dovunque riposi, riposa in pace.
Aveva ragione: la mitica civiltà della giungla esisteva.
Mario Sacchi - Il Giornale
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