Pedofilia nella Chiesa: “Devono setacciare diocesi per diocesi”
Survivors's Voice a Roma per chiedere un'operazione verità. Il co-fondatore McDaid:"Chiesi al Papa di sradicare questo cancro ma lui guardò a terra"
“Quando gli ho parlato, Benedetto XVI guardava a terra. Io pensavo a un dialogo, ma dialogo non c’è stato”. L’americano Bernie McDaid è una delle cinque persone, vittime di abusi da parte del clero, selezionate dal cardinale di Boston Sean O’Malley nel 2008 per incontrare Benedetto XVI al tempo del suo viaggio negli Stati Uniti. Domenica ha guidato insieme al connazionale Gary Bergeron e l’italo-olandese Paola Leerschool la manifestazione a Castel Sant’Angelo per chiedere alle Nazioni Unite di dichiarare lo stupro di minori un “crimine contro l’umanità”. Erano un centinaio, provenienti da tredici nazioni, che agitando cartelli con scritto “Basta”, “Il Papa in tribunale”, hanno respinto il portavoce vaticano Lombardi al grido di “vergogna, vergogna”.
Ma per capire l’origine di questo raduno, destinato a sfociare nella costruzione di una rete mondiale di vittime, bisogna tornare a quell’incontro tra Bernie e il Papa il 17 aprile 2008.
Bernie McDaid, come si svolse il colloquio con papa Ratzinger? So che il vostro gruppo gli consegnò un libretto con mille nomi di abusati. Il pontefice come reagì?
Eravamo nella cappella della nunziatura a Washington. Benedetto XVI prese la parola ed espresse il suo rincrescimento per i fatti accaduti. Allora io andai verso di lui e gli misi una mano sul cuore.
Proprio sul petto?
Esattamente così. Lo guardai negli occhi e gli dissi: c’è un cancro nel gregge dei fedeli, fate qualcosa!
E il papa?
Tenne la testa china e mormorò: sì, sì.
Che risposta diede?
Non parlò. Noi volevamo un dialogo, ma lui non entrò in dialogo con noi. Ci fu soltanto una preghiera comune, una sorta di meditazione.
Rimase deluso?
Speravo che il Vaticano avrebbe agito e che ad alto livello si sarebbero ammessi i problemi. Invece no.
Benedetto XVI quest’anno ha fatto delle dichiarazioni molto nette sulla necessità di tutelare le vittime e di portare i colpevoli in tribunale.
Appunto, sono dichiarazioni. Il Vaticano afferma di fare questo e quello e il mondo pensa che se ne occupa e invece no. Bisogna fare molto di più per la gente che soffre e mettere fine soprattutto al muro di silenzio, che circonda tutta la questione.
Dopo l’incontro di Boston cosa ha fatto?
Ho capito che la priorità era di finirla con l’insabbiamento. La Chiesa cattolica è un’istituzione mondiale e se vogliono potrebbero setacciare parrocchia per parrocchia, diocesi per diocesi per scoprire cosa è successo. Avrebbero dovuto farlo da tempo. Io avevo già cercato di parlare con Giovanni Paolo II nel 2003, all’epoca dello scandalo di Boston. Trovai un giudice statunitense, che era amico personale di Dziwisz, il segretario di Wojtyla. Gli telefonò, lo chiamò Stasiu il diminutivo polacco di Stanislao, chiese un appuntamento per me. Ma quando arrivai a Roma, le guardie svizzero mi impedirono fisicamente di salire al suo appartamento in Vaticano. Venne però nel mio albergo un monsignore della segreteria di Stato, mons. James Green, a cui raccontai tutto.
Inutilmente?
Quest’anno mi sono deciso a fondare con Gary Bergeron Survivor’s Voice (la Voce dei Sopravvissuti). Siamo venuti a Roma perché si contrasti l’abuso dentro e fuori la Chiesa, perché i leader politici del mondo si mettano all’opera. Portiamo una petizione all’Onu perché l’abuso sia dichiarato crimine contro l’umanità. Serve uno sforzo internazionale. Sabato ho visto migliaia di ragazzi dell’Azione cattolica recarsi a San Pietro e pensavo con timore che il trenta per cento degli adolescenti in tutto il mondo corre il pericolo di abusi. A me è successo come a tanti. Tra gli undici e i tredici anni ero chierichetto e il mio prete abusava di me e di altri ragazzi in tre posti precisi. In sagrestia, quando ci portava alla spiaggia in macchina promettendoci un gelato e nel guardaroba della scuola, dove diceva alle suore che ci riceveva ad uno ad uno per una meditazione. Alla fine andai da mio padre con tre amici come testimoni. Mi credette. Intervenne”.
E cosa successe?
Denunciai la cosa a mio padre in ottobre, ma il prete fu rimosso solo in aprile. La parrocchia gli organizzò persino una festicciola d’addio. Ero disgustato. Non fu mai processato, è già morto. Ma passò attraverso sette parrocchie ancora e abusò di una cinquantina di adolescenti. Quelli noti. Probabilmente la cifra vera è di qualche centinaio.
Survivor’s Voice ha già una branca europea e la manifestazione di domenica è il primo passo per creare una rete mondiale. Alla Chiesa chiedono un’operazione verità, il riconoscimento delle responsabilità e un aiuto concreto alle vittime. Lo hanno detto a fine serata anche a padre Lombardi, che hanno incontrato dopo la manifestazione negli uffici della Radio vaticana. Lombardi ha loro consegnato un testo scritto, dicendo che la Chiesa ha già cominciato a fare molto a vari livelli. Bloccati da un robusto e ingiustificato cordone di polizia, i sopravvissuti hanno mandato da Castel Sant’Angelo il loro messaggio di protesta al Papa attraverso le luci di decine e decine di candele. Soltanto a due di loro – Bergeron e Leerschool – è stato concesso di percorrere via della Conciliazione con le fiaccole per lasciare una lettera davanti al Palazzo apostolico.
Ma non sarà la polizia a impedire che la protesta vada inesorabilmente avanti finché gli archivi ecclesiastici non saranno aperti.
“Non basta processare i colpevoli – dice Bernie McDaid – i danni ai sopravvissuti sono enormi: depressione, suicidi, droga, alcool, delinquenza. La Chiesa deve capire che ha la responsabilità di guarire le vittime”.
Fonte: Il Fatto Quotidiano
Survivors's Voice a Roma per chiedere un'operazione verità. Il co-fondatore McDaid:"Chiesi al Papa di sradicare questo cancro ma lui guardò a terra"
“Quando gli ho parlato, Benedetto XVI guardava a terra. Io pensavo a un dialogo, ma dialogo non c’è stato”. L’americano Bernie McDaid è una delle cinque persone, vittime di abusi da parte del clero, selezionate dal cardinale di Boston Sean O’Malley nel 2008 per incontrare Benedetto XVI al tempo del suo viaggio negli Stati Uniti. Domenica ha guidato insieme al connazionale Gary Bergeron e l’italo-olandese Paola Leerschool la manifestazione a Castel Sant’Angelo per chiedere alle Nazioni Unite di dichiarare lo stupro di minori un “crimine contro l’umanità”. Erano un centinaio, provenienti da tredici nazioni, che agitando cartelli con scritto “Basta”, “Il Papa in tribunale”, hanno respinto il portavoce vaticano Lombardi al grido di “vergogna, vergogna”.
Ma per capire l’origine di questo raduno, destinato a sfociare nella costruzione di una rete mondiale di vittime, bisogna tornare a quell’incontro tra Bernie e il Papa il 17 aprile 2008.
Bernie McDaid, come si svolse il colloquio con papa Ratzinger? So che il vostro gruppo gli consegnò un libretto con mille nomi di abusati. Il pontefice come reagì?
Eravamo nella cappella della nunziatura a Washington. Benedetto XVI prese la parola ed espresse il suo rincrescimento per i fatti accaduti. Allora io andai verso di lui e gli misi una mano sul cuore.
Proprio sul petto?
Esattamente così. Lo guardai negli occhi e gli dissi: c’è un cancro nel gregge dei fedeli, fate qualcosa!
E il papa?
Tenne la testa china e mormorò: sì, sì.
Che risposta diede?
Non parlò. Noi volevamo un dialogo, ma lui non entrò in dialogo con noi. Ci fu soltanto una preghiera comune, una sorta di meditazione.
Rimase deluso?
Speravo che il Vaticano avrebbe agito e che ad alto livello si sarebbero ammessi i problemi. Invece no.
Benedetto XVI quest’anno ha fatto delle dichiarazioni molto nette sulla necessità di tutelare le vittime e di portare i colpevoli in tribunale.
Appunto, sono dichiarazioni. Il Vaticano afferma di fare questo e quello e il mondo pensa che se ne occupa e invece no. Bisogna fare molto di più per la gente che soffre e mettere fine soprattutto al muro di silenzio, che circonda tutta la questione.
Dopo l’incontro di Boston cosa ha fatto?
Ho capito che la priorità era di finirla con l’insabbiamento. La Chiesa cattolica è un’istituzione mondiale e se vogliono potrebbero setacciare parrocchia per parrocchia, diocesi per diocesi per scoprire cosa è successo. Avrebbero dovuto farlo da tempo. Io avevo già cercato di parlare con Giovanni Paolo II nel 2003, all’epoca dello scandalo di Boston. Trovai un giudice statunitense, che era amico personale di Dziwisz, il segretario di Wojtyla. Gli telefonò, lo chiamò Stasiu il diminutivo polacco di Stanislao, chiese un appuntamento per me. Ma quando arrivai a Roma, le guardie svizzero mi impedirono fisicamente di salire al suo appartamento in Vaticano. Venne però nel mio albergo un monsignore della segreteria di Stato, mons. James Green, a cui raccontai tutto.
Inutilmente?
Quest’anno mi sono deciso a fondare con Gary Bergeron Survivor’s Voice (la Voce dei Sopravvissuti). Siamo venuti a Roma perché si contrasti l’abuso dentro e fuori la Chiesa, perché i leader politici del mondo si mettano all’opera. Portiamo una petizione all’Onu perché l’abuso sia dichiarato crimine contro l’umanità. Serve uno sforzo internazionale. Sabato ho visto migliaia di ragazzi dell’Azione cattolica recarsi a San Pietro e pensavo con timore che il trenta per cento degli adolescenti in tutto il mondo corre il pericolo di abusi. A me è successo come a tanti. Tra gli undici e i tredici anni ero chierichetto e il mio prete abusava di me e di altri ragazzi in tre posti precisi. In sagrestia, quando ci portava alla spiaggia in macchina promettendoci un gelato e nel guardaroba della scuola, dove diceva alle suore che ci riceveva ad uno ad uno per una meditazione. Alla fine andai da mio padre con tre amici come testimoni. Mi credette. Intervenne”.
E cosa successe?
Denunciai la cosa a mio padre in ottobre, ma il prete fu rimosso solo in aprile. La parrocchia gli organizzò persino una festicciola d’addio. Ero disgustato. Non fu mai processato, è già morto. Ma passò attraverso sette parrocchie ancora e abusò di una cinquantina di adolescenti. Quelli noti. Probabilmente la cifra vera è di qualche centinaio.
Survivor’s Voice ha già una branca europea e la manifestazione di domenica è il primo passo per creare una rete mondiale. Alla Chiesa chiedono un’operazione verità, il riconoscimento delle responsabilità e un aiuto concreto alle vittime. Lo hanno detto a fine serata anche a padre Lombardi, che hanno incontrato dopo la manifestazione negli uffici della Radio vaticana. Lombardi ha loro consegnato un testo scritto, dicendo che la Chiesa ha già cominciato a fare molto a vari livelli. Bloccati da un robusto e ingiustificato cordone di polizia, i sopravvissuti hanno mandato da Castel Sant’Angelo il loro messaggio di protesta al Papa attraverso le luci di decine e decine di candele. Soltanto a due di loro – Bergeron e Leerschool – è stato concesso di percorrere via della Conciliazione con le fiaccole per lasciare una lettera davanti al Palazzo apostolico.
Ma non sarà la polizia a impedire che la protesta vada inesorabilmente avanti finché gli archivi ecclesiastici non saranno aperti.
“Non basta processare i colpevoli – dice Bernie McDaid – i danni ai sopravvissuti sono enormi: depressione, suicidi, droga, alcool, delinquenza. La Chiesa deve capire che ha la responsabilità di guarire le vittime”.
Fonte: Il Fatto Quotidiano
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