Cliccare qui per vedere lo sceneggiato televisivo in 2 puntate sul caso Zanfretta realizzato dalla RAI nel 1984 (Durata: 62 minuti circa)
Una esperienza che esula dalle limitative interpretazioni psicologiche e patologiche per collocarsi nel contesto proprio della fenomenologia ufologica.
Com'è noto, a suo tempo Pier Fortunato Zanfretta ha ricevuto forse fin troppa pubblicità per cercarne ancora oggi, a distanza di anni, specie dopo l'avvenuta pubblicazione, nel 1984, di un libro sulla sua esperienza. Quando allora l'autore, il giornalista Rino Di Stefano, mi chiese di realizzare la prefazione per il suo ottimo volume «Luci nella notte: il caso Zanfretta» (Ed. Alkaest, Genova), la mia prima reazione fu di sincera perplessità. E questo perché il «caso» Zanfretta è stato talvolta indicato come «bruciato», e ciò prescindendo naturalmente da qualsiasi valutazione sull'uomo o sulla realtà degli eventi di cui è stato — soggettivamente ed anche oggettivamente — il principale ed indiscusso protagonista. La critica, di contro, è piuttosto scaturita dal modo — estemporaneo e talvolta contraddittorio — in cui è stato via via affrontato il caso stesso nelle sue varie fasi. Troppe persone, si è detto, avrebbero infatti concorso, con tutta una serie di apporti ed ingerenze personali, a trasformare l'esperienza di Pier Fortunato Zanfretta in una «occasione perduta» per l'ufologia. Superficialità, improvvisazione, eccessivo entusiasmo e mancanza di esperienza e financo di scrupoli avrebbero cioè finito con per inquinare l’intero caso, dando spazio e rilevanza a componenti forse marginali dell'episodio per lasciare invece irrisolti e sfumati — forse per sempre — non pochi suoi aspetti di fondo. Aspetti che sarebbe purtroppo impossibile, oggi, verificare e rivisitare a causa della apparentemente irreversibile interferenza psicologica esercitata da più parti, più o meno intenzionalmente, sul testimone stesso. Ma è vero tutto ciò? È un fatto, in realtà, che il metronotte della Valbisagno si è trovato al centro di eventi più grandi di lui e che vi è anche stato chi, assicurandogli l'accettazione ed il consenso generale, ha cercato di venirgli incontro in base a idee e convinzioni precostituite che potrebbero avere influenzato psicologicamente il testimone, portandolo a distorcere la realtà dell'esperienza vissuta. Anziché consentirci di esprimere delle certezze, in effetti, il caso Zanfretta ci permette tutt'al più, oggi, di affermare quello che esso non è. Il che non è certo poco, dato l'ambito sui generis del problema. Non è poco, infatti, concludere che non si è trattato certamente di una macchinazione; che non ci si trova di fronte ad una esperienza meramente soggettiva; che il protagonista, quali che possano essere le implicazioni psicologiche presenti nell'intera vicenda, non è certo in mala fede ovvero un soggetto anormale o privo di equilibrio. No. Pier Fortunato Zanfretta non è stato lo strumento di nessuno, ha vissuto una sconvolgente esperienza soggettiva ed oggettiva al tempo stesso, e risulta un soggetto normale sotto tutti i punti di vista. D'altro canto, non sappiamo a cosa riferire le evidenti implicazioni oggettive — in parte, com'è noto, direttamente constatate anche da altri — proprie del caso stesso.
Incontri ravvicinati del «quarto» tipo? Chi sono gli interlocutori di Zanfretta, in realtà? Esseri provenienti da un altro pianeta, come gli sarebbe stato detto? Creature originarie di una dimensione «parafisica», parallela compenetrante la nostra?
Entità disincarnate appartenenti ad un piano di realtà spirituale, malefico o benefico che sia? Incredibili proiezioni psicologiche dell'inconscio in grado di concretizzarsi in interazioni di carattere fisico con l'ambiente? O che altro? Non lo sappiamo. Ma sappiamo che tali manifestazioni, quale che ne sia la matrice, devono e dovranno essere sempre considerate per quelle che sono: una realtà mediata; e il cui tramite, la cui chiave di volta è e resta il protagonista, Pier Fortunato Zanfretta. Un uomo semplice e comune, shockato da un'esperienza incredibile e quindi sballottato da una mano all'altra per essere sondato, compreso, accettato e anche aiutato; ma non sempre in quei termini necessariamente «asettici» indispensabili per impostare senza alcuna possibile critica una ricerca scientifica approfondita sul suo caso. È un fatto, in realtà, che Zanfretta è anche stato «gestito» e dunque influenzato da più parti, con possibili condizionamenti psicologici difficilmente valutabili sul processo di «razionalizzazione » da lui indiscutibilmente eseguito sulle sconvolgenti esperienze con cui è venuto via via a contatto. Una realtà che, pur caratterizzata da una sua oggettività, ci appare pur sempre — lo si tenga presente — attraverso le sensazioni, i ricordi, le conoscenze e le opinioni del protagonista, e che dunque corrisponderà solo in parte a quella che è realmente, rielaborata e razionalizzata com'è dalla psiche del testimone. E quanto può aver condizionato il quadro recepito e poi ripresentatoci da Zanfretta il «modus operandi» diverso di psicologi caratterizzati da scuole, orientamenti e tecniche differenti, e cosi pure le talvolta mal celate opinioni personali dei vari ufologi ed anche dei semplici amici che gli si sono via via avvicinati contribuendo a sostenerlo psicologicamente nei momenti più difficili? All'interazione fenomeno UFO-soggetto si guarda oggi con sempre maggiore interesse in ufologia, e non deve dunque sorprendere che si comincino ad affrontare sempre più attentamente i vari problemi legati alla «psicologia della percezione» nel testimone, specialmente nei complessi e sovente controversi casi di «incontri ravvicinati del terzo tipo » e di «abduction» (in inglese: «rapimento ») per i quali ultimi qualcuno, superando la ben nota ed accettata classificazione scientifica dei fenomeni UFO elaborata dall'astrofisico americano Hynek in sei classi («luci» notturne; «dischidischi » diurni; casi radar-visuali; «incontri ravvicinati» del primo, secondo e terzo tipo) ha addirittura suggerito l'impropria definizione di «incontri ravvicinati del quarto tipo». Di casi del genere, in cui rientra l'esperienza di Zanfretta, la casistica italiana ne rileva pochi (il primo si sarebbe avuto nel 1954). In USA, al contrario, ne sono stati segnalati (e sviscerati) parecchi, a partire dall'inizio degli Anni Sessanta: dall'esperienza dei coniugi Hill a quelle successive Hickson-Parker, Walton, Andreasson e via dicendo. Naturalmente, il problema che si presenta era ed è il solito: quanto di queste esperienze si riferisce alla realtà oggettiva e quanto è invece ricollegabile alla «elaborazione » psicologica inconscia ma certamente operante nel soggetto durante e dopo la propria sconvolgente esperienza? E come si sviluppa tale eventuale processo? Vi è anche chi ravvisa in quest'ultimo componenti di ordine fisiologico. Il «locus cocruleus» è un piccolo ma importante centro anatomico del cervello dei mammiferi che costituirebbe, in pratica, il meccanismo cerebrale induttore dello stato onirico. Al riguardo è stato osservato che nei casi di incontri ravvicinati del terzo tipo (implicanti cioè la presenza delle «entità» associate agli UFO) potrebbe verificarsi una interferenza sul normale funzionamento del cervello umano indotta sul «locus coeruleus ». Tali casi sarebbero allora assimilabili all'esperienza psichedelica da LSD innescando stati semi-allucinatori da «sogno a occhi aperti» in cui la percezione del testimone si verificherebbe attingendo allo stesso tempo all'esperienza reale, del momento, e a quella interiore del singolo, dall'inconscio. In tale eventualità non avremmo allora nessuna indicazione definita sullo stimolo reale all'origine del fenomeno, ma solo una descrizione in buona parte immaginaria elaborata dal soggetto «manipolato » a livello di «locus coeruleus». Si tratta di una prospettiva indubbiamente stimolante.
Chi è Zanfretta
Nella notte tra mercoledì 6 e giovedì 7 dicembre 1978 la Guardia Giurata Fortunato Piero Zanfretta deiristituto di vigilanza privata «Val Bisagno», di Genova, fu trovato in stato di choc ed in preda ad un indicibile terrore nei pressi della villa «Casa Nostra» di Marzano di Torriglia, un piccolo centro sulle alture del capoluogo ligure. Quando si riprese, Zanfretta, raccontò tremando di aver visto un «essere enorme, alto circa tre metri, con la pelle ondulata, come se fosse grasso o tuta molle, comunque grigia, che subito dopo volò via in una gigantesca luce a forma di triangolo sormontala da lucette di diverso colore». Sottoposto ad ipnosi, l'uomo non solo confermò la sua avventura, ma disse di essere stato trascinato sull’«astronave» da quattro esseri mostruosi che lo avrebbero minuziosamente esaminato. Un'inchiesta dei Carabinieri accertò che 52 testimoni avevano osservato un enorme disco volante luminoso volteggiare in quelle ore su Torriglia. Inoltre, sul prato dove Zanfretta fu ritrovato dai suoi colleghi, i Carabinieri scoprirono una larga traccia a forma di ferro di cavallo. Non si è ancora spenta l'eco di quel misterioso incontro ravvicinato del terzo tipo, che dopo venti giorni l'esperienza si ripete. Questa volta i Carabinieri scoprono accanto all'auto del metronotte orme lunghe oltre 50 centimetri. È l’inizio del Caso Zanfretta. In seguito si sono avuti altri suoi incontri con gli UFO; ma Zanfretta non è un «contattista». In USA il metronotte, che viene interrogato nel 1984 a Genova in occasione del 3° Congresso Nazionale di Ufologia del CUN dallo stesso Prof. Hynek sui particolari del suo sequestro (abduction), sarebbe definito piuttosto un «repeater» (cioè un soggetto coinvolto in manifestazioni ripetitive di «incontri ravvicinati»), in quanto si è trovato periodicamente al centro di esperienze di «rapimento da UFO» da allora in poi, sempre associate alle stesse entità mostruose: i «Dargos». Sottopostosi fin dal 1979 alla prova del pentotal (il siero della verità), Zanfretta ha così provato a suo rischio e pericolo la propria buona fede, dimostrandosi in seguito pure all'analisi di psicologi e psichiatri per quello che è: un giovane marito e padre equilibrato e perfettamente normale, che in quanto tale continua a svolgere tuttora la propria attività professionale di Guardia Giurata armata; e che oggi spera di dimenticare una serie di esperienze tutt'altro che piacevoli in cui si è trovato coinvolto suo malgrado. La sua storia è narrata nell'ottimo volume del giornalista genovese Rino Di Stefano «Luci nella notte: il caso Zanfretta » (Ed. Alkaest, Genova 1984).
Dagli abissi dell'inconscio
È sempre in tale ottica che si colloca, relativamente ai casi di «abduction», il recente contributo dell'americano Alvin H. Lawson, il cui nome è ormai indicato come sinonimo di demistificazione delle tecniche di ipnosi regressiva applicate all'indagine ufologica. Riprendendo motivi già espressi nel 1977, Lawson ha ampliato i suoi precedenti studi e nel 1981, in occasione della seconda edizio-ne del Congresso del Center for UFO Studies (CUFOS) del Prof. Hynek, ha presentato una originale ipotesi, a suo dire verificabile in tutto e per tutto, circa la vera natura dei casi di «abduction ». I «rapimenti da UFO», egli sostiene, sarebbero ciò dovuti non all'intervento di entità extraterrestri o comunque ad una matrice esterna al protagonista; bensì costituirebbero il riaffiorare, dagli abissi dell'inconscio del soggetto, di una forma di memoria pre-natale legata a vari aspetti e momenti del trauma da nascita vissuto dal singolo. In tale prospettiva tutto si ridurrebbe a mere esperienze psicologiche con implicazioni evidentemente trascendenti il fenomeno UFO ed inerenti invece la ricerca sulla vita intrauterina, la coscienza ed il cervello. Anche se gli resta da chiarire come il sistema neurologico evidentemente primitivo del feto possa in effetti ritenere informazioni per poi recuperarle in forma di visualizzazioni e sensazioni, tali da tradursi poi, in base a meccanismi psicologici ancora da definire, in una «sceneggiata» a base di UFO e «abduction », Lawson ritiene di poter ridurre tutto a dei «flash-back» di una «protomemoria » da cui riaffiorano visualizzazioni dell'utero materno (cfr. i tunnel e/o corridoi di accesso a i r UFO in taluni casi), di immagini fetali (umanoidi glabri e calvi, esili e macrocefali), di clinici (volti mascherati), dell'azione di ostetrici (esami fisici subiti dal soggetto rapito), della sala parto con la relativa illuminazione (grandi stanze e luci brillanti a bordo dell'UFO), e via dicendo. Va da sè che questa originale «chiave di lettura» del fenomeno dei «rapimenti da UFO» ha sedotto non pochi di quegli ufologi che — sulla discutibile scia di certi esponenti della «nouvelle vague» ufologica francese (Monnerie, Caudron, Brucker, Barthel, etc.) — tendono a ridurre il fenomeno UFO a qualcosa di soggettivo, psicologico, o tutt'al più socio-antropologico. Non già una realtà oggettiva ed esterna al protagonista, dunque, ma qualcosa la cui intima matrice andrebbe ricercata nell'individuo, lo si consideri isolatamente ovvero in rapporto all'inconscio collettivo del corpo sociale che gli è proprio. Di qui, ad esempio, l'osservazione che le mostruose creature che avrebbero rapito Zanfretta ricorderebbero, per taluni aspetti, il protagonista di un famoso film di fantascienza degli Anni Cinquanta: il classico «The Creature from the Black Lagoon» (portato sugli schermi italiani col titolo «Il mostro della Laguna Nera), ispiratore diretto di un paio di episodi di un noto fumetto italiano (Zagor, disegnato da Donatelli, creato nel 1961) che, si è osservato, Zanfretta potrebbe aver letto ed inconsciamente «immagazzinato» a livello archetipo nel proprio subconscio. In occasione della sua esperienza, in tal caso, il metronotte — qualunque cosa abbia vissuto —avrebbe potuto adattare a questa ultima tale mostruoso modello inconscio. Un'interpretazione cui si appaia l'altra secondo la quale l'archetipo mostruoso in questione deriverebbe direttamente dal film sopra menzionato che Zanfretta bambino potrebbe aver visto (ed oggi onestamente non ricordare più). Concretezza dei fatti Ho voluto ricordare tutto questo — in realtà patrimonio semi-esclusivo degli «addetti ai lavori» italiani del settore — per evidenziare l'atteggiamento critico ed ipercritico di alcuni studiosi che, forse un po' troppo bramosi del consenso di un «establishment» scientifico che (per lo più disinformato sulla realtà della fenomenologia UFO) solitamente snobba o irride l'argomento, sembrano dimenticare che, al di là di qualsiasi componente psicologica, in ufologia come in qualsiasi altro campo di indagine bisogna dare precedenza ai fatti oggettivi. E i fatti oggettivi sono — e restano — tutt'altro che limitati a Pier Fortunato Zanfretta, tanto per tornare nel seminato. Inquirenti privati ma anche forze dell'ordine che hanno esperito indagini in loco hanno infatti più volte constatato l'evidenza di una qualche «presenza » che ha lasciato tracce di sè in concomitanza con le esperienze del metronotte, e i colleghi di quest'ultimo hanno condiviso più volte con lui la constatazione di manifestazioni sconcertanti. Per non parlare dei residenti nelle località teatro degli eventi, più volte testimoni di avvistamenti ufologici. Vogliamo ignorarlo, forse? Nel suo meticoloso e dettagliato resoconto dei vari aspetti e momenti del «caso Zanfretta» il giornalista Rino Di Stefano riporta doverosamente tutto questo. Non sarebbe serio cercare di ignorare dei dati di fatto constatati da più persone, testimoni involontari ed indipendenti. Si potrà, semmai, discutere sulla effettiva difficoltà di poter inquadrare il tutto in un contesto misurabile e quantizzarle, e come tale avente dunque rilevanza per la scienza di oggi. Ma non è lecito, di contro, disconoscere ad esempio i pur empirici controlli tecnici verificati a bordo dell'auto di servizio usata dal metronotte (a tal fine precedentemente allestita dai tecnici della stessa Valbisagno) in occasione di un suo presunto «incontro ravvicinato del terzo tipo» (e che proverebbero che la vettura è stata sollevata in aria). Così pure, anche se è legittimo polemizzare sull'uso e l'abuso dell'ipnosi regressiva in ufologia, come spiegare i non pochi elementi emersi durante le regressioni ipnotiche di Zanfretta (ad esempio, il dichiarato rapporto fra una segnalazione ufologica in effetti verificatasi in Spagna immediatamente, prima ed uno dei vari «incontri ravvicinati del terzo tipo» del metronotte) aventi una realtà oggettiva e non certo spiegabili con pretestuose e riduttive ipotesi «psicologiche» di comodo? La stessa ipotesi di un Lawson, per quanto riguarda il «caso Zanfretta», sembra in realtà tutt'altro che adattabile. Quale rapporto possa sussistere fra «rapitori» macrocefali, glabri, calvi ed esili (ricollegabili alla figura del feto) e le entità descritte da Pier Fortunato non saprei proprio, infatti. I suoi «Dargos» non rientrano certo in schemi simili, evidentemente. Mi sembra semmai indicativo il fatto che di recente, nel suo volume «11 romanzo della scienza (Broca 9s Brain), uno scienziato del calibro di Cari Sagan, l'esobiologo direttore del Laboratorio per gli studi planetari della Cornell University che in passato non ha disdegnato di occuparsi anche degli UFO, ricolleghi espressamente il trauma da nascita non già ad una «sceneggiata» basata sul tema «abduction», bensì all'esperienza (oggetto di studio della odierna «tanatologia») tipica dei soggetti che, clinicamente morti, sono stati successivamente restituiti alle normali funzioni vitali: una esperienza «di frontiera» quasi mistica, riferita all'impressione di volare e di emergere dalle tenebre alla luce, nella vaga percezione di una figura eroica solitamente avvolta da un alone abbagliante. Tale visione gratificante ed esaltante (ricavata dall'esperienza prenatale del singolo?) evidentemente non ha nulla a che fare con quelle tipiche dei «rapimenti da UFO». L'una esclude chiaramente l'altra. E una delle due è fasulla, evidentemente. Lawson, dunque, è lungi dall'aver detto una parola definitiva al riguardo. E allora? Allora, a mio avviso, bisognerebbe avere il coraggio di guardare in faccia la realtà una volta per tutte. Così come la fenomenologia UFO è costituita da elementi tangibili e concreti accanto a componenti che sfuggono a qualsiasi misurazione e quantificazione, anche il fenomeno dei «rapimenti da UFO» è caratterizzato da questo stato di cose. Prendere atto questo — e il «caso Zanfretta » ne è solo l'ennesima dimostrazione — significa dunque operare non disgiungendo il fenomeno UFO presente a latere dalla realtà sgradevole e traumatizzante della «abduction» (anche se non sappiamo ancora quanto «filtrata» ed elaborata dal protagonista). Chi lo fa, in base a schemi aprioristici e precostituiti correrà sempre il rischio di relegare in schemi angusti e riduttivi un'esperienza che trascende i limiti psicologici e patologici a noi noti per collocarsi in un contesto tutto suo: quello ufologico, caratterizzato in gran parte da componenti oggettive del tutto estranee al soggetto umano. Non dimentichiamolo. Nonostante tutto la risposta, dunque, va ricercata non tanto o soltanto nell'uomo Pier Fortunato Zanfretta, — o in qualsiasi altro «rapito» di turno — ma piuttosto fuori di lui, ignaro e involontario strumento di un fenomeno oggettivo ma sfuggente che si manifesta con sempre maggiore incidenza da oltre quarantanni a questa parte. E che forse un giorno comprenderemo più di quanto non ci sia possibile oggi.
Roberto Pinotti
Cliccare qui per vedere lo sceneggiato televisivo in 2 puntate sul caso Zanfretta realizzato dalla RAI nel 1984 (Durata: 62 minuti circa)
Una esperienza che esula dalle limitative interpretazioni psicologiche e patologiche per collocarsi nel contesto proprio della fenomenologia ufologica.
Com'è noto, a suo tempo Pier Fortunato Zanfretta ha ricevuto forse fin troppa pubblicità per cercarne ancora oggi, a distanza di anni, specie dopo l'avvenuta pubblicazione, nel 1984, di un libro sulla sua esperienza. Quando allora l'autore, il giornalista Rino Di Stefano, mi chiese di realizzare la prefazione per il suo ottimo volume «Luci nella notte: il caso Zanfretta» (Ed. Alkaest, Genova), la mia prima reazione fu di sincera perplessità. E questo perché il «caso» Zanfretta è stato talvolta indicato come «bruciato», e ciò prescindendo naturalmente da qualsiasi valutazione sull'uomo o sulla realtà degli eventi di cui è stato — soggettivamente ed anche oggettivamente — il principale ed indiscusso protagonista. La critica, di contro, è piuttosto scaturita dal modo — estemporaneo e talvolta contraddittorio — in cui è stato via via affrontato il caso stesso nelle sue varie fasi. Troppe persone, si è detto, avrebbero infatti concorso, con tutta una serie di apporti ed ingerenze personali, a trasformare l'esperienza di Pier Fortunato Zanfretta in una «occasione perduta» per l'ufologia. Superficialità, improvvisazione, eccessivo entusiasmo e mancanza di esperienza e financo di scrupoli avrebbero cioè finito con per inquinare l’intero caso, dando spazio e rilevanza a componenti forse marginali dell'episodio per lasciare invece irrisolti e sfumati — forse per sempre — non pochi suoi aspetti di fondo. Aspetti che sarebbe purtroppo impossibile, oggi, verificare e rivisitare a causa della apparentemente irreversibile interferenza psicologica esercitata da più parti, più o meno intenzionalmente, sul testimone stesso. Ma è vero tutto ciò? È un fatto, in realtà, che il metronotte della Valbisagno si è trovato al centro di eventi più grandi di lui e che vi è anche stato chi, assicurandogli l'accettazione ed il consenso generale, ha cercato di venirgli incontro in base a idee e convinzioni precostituite che potrebbero avere influenzato psicologicamente il testimone, portandolo a distorcere la realtà dell'esperienza vissuta. Anziché consentirci di esprimere delle certezze, in effetti, il caso Zanfretta ci permette tutt'al più, oggi, di affermare quello che esso non è. Il che non è certo poco, dato l'ambito sui generis del problema. Non è poco, infatti, concludere che non si è trattato certamente di una macchinazione; che non ci si trova di fronte ad una esperienza meramente soggettiva; che il protagonista, quali che possano essere le implicazioni psicologiche presenti nell'intera vicenda, non è certo in mala fede ovvero un soggetto anormale o privo di equilibrio. No. Pier Fortunato Zanfretta non è stato lo strumento di nessuno, ha vissuto una sconvolgente esperienza soggettiva ed oggettiva al tempo stesso, e risulta un soggetto normale sotto tutti i punti di vista. D'altro canto, non sappiamo a cosa riferire le evidenti implicazioni oggettive — in parte, com'è noto, direttamente constatate anche da altri — proprie del caso stesso.
Incontri ravvicinati del «quarto» tipo? Chi sono gli interlocutori di Zanfretta, in realtà? Esseri provenienti da un altro pianeta, come gli sarebbe stato detto? Creature originarie di una dimensione «parafisica», parallela compenetrante la nostra?
Entità disincarnate appartenenti ad un piano di realtà spirituale, malefico o benefico che sia? Incredibili proiezioni psicologiche dell'inconscio in grado di concretizzarsi in interazioni di carattere fisico con l'ambiente? O che altro? Non lo sappiamo. Ma sappiamo che tali manifestazioni, quale che ne sia la matrice, devono e dovranno essere sempre considerate per quelle che sono: una realtà mediata; e il cui tramite, la cui chiave di volta è e resta il protagonista, Pier Fortunato Zanfretta. Un uomo semplice e comune, shockato da un'esperienza incredibile e quindi sballottato da una mano all'altra per essere sondato, compreso, accettato e anche aiutato; ma non sempre in quei termini necessariamente «asettici» indispensabili per impostare senza alcuna possibile critica una ricerca scientifica approfondita sul suo caso. È un fatto, in realtà, che Zanfretta è anche stato «gestito» e dunque influenzato da più parti, con possibili condizionamenti psicologici difficilmente valutabili sul processo di «razionalizzazione » da lui indiscutibilmente eseguito sulle sconvolgenti esperienze con cui è venuto via via a contatto. Una realtà che, pur caratterizzata da una sua oggettività, ci appare pur sempre — lo si tenga presente — attraverso le sensazioni, i ricordi, le conoscenze e le opinioni del protagonista, e che dunque corrisponderà solo in parte a quella che è realmente, rielaborata e razionalizzata com'è dalla psiche del testimone. E quanto può aver condizionato il quadro recepito e poi ripresentatoci da Zanfretta il «modus operandi» diverso di psicologi caratterizzati da scuole, orientamenti e tecniche differenti, e cosi pure le talvolta mal celate opinioni personali dei vari ufologi ed anche dei semplici amici che gli si sono via via avvicinati contribuendo a sostenerlo psicologicamente nei momenti più difficili? All'interazione fenomeno UFO-soggetto si guarda oggi con sempre maggiore interesse in ufologia, e non deve dunque sorprendere che si comincino ad affrontare sempre più attentamente i vari problemi legati alla «psicologia della percezione» nel testimone, specialmente nei complessi e sovente controversi casi di «incontri ravvicinati del terzo tipo » e di «abduction» (in inglese: «rapimento ») per i quali ultimi qualcuno, superando la ben nota ed accettata classificazione scientifica dei fenomeni UFO elaborata dall'astrofisico americano Hynek in sei classi («luci» notturne; «dischidischi » diurni; casi radar-visuali; «incontri ravvicinati» del primo, secondo e terzo tipo) ha addirittura suggerito l'impropria definizione di «incontri ravvicinati del quarto tipo». Di casi del genere, in cui rientra l'esperienza di Zanfretta, la casistica italiana ne rileva pochi (il primo si sarebbe avuto nel 1954). In USA, al contrario, ne sono stati segnalati (e sviscerati) parecchi, a partire dall'inizio degli Anni Sessanta: dall'esperienza dei coniugi Hill a quelle successive Hickson-Parker, Walton, Andreasson e via dicendo. Naturalmente, il problema che si presenta era ed è il solito: quanto di queste esperienze si riferisce alla realtà oggettiva e quanto è invece ricollegabile alla «elaborazione » psicologica inconscia ma certamente operante nel soggetto durante e dopo la propria sconvolgente esperienza? E come si sviluppa tale eventuale processo? Vi è anche chi ravvisa in quest'ultimo componenti di ordine fisiologico. Il «locus cocruleus» è un piccolo ma importante centro anatomico del cervello dei mammiferi che costituirebbe, in pratica, il meccanismo cerebrale induttore dello stato onirico. Al riguardo è stato osservato che nei casi di incontri ravvicinati del terzo tipo (implicanti cioè la presenza delle «entità» associate agli UFO) potrebbe verificarsi una interferenza sul normale funzionamento del cervello umano indotta sul «locus coeruleus ». Tali casi sarebbero allora assimilabili all'esperienza psichedelica da LSD innescando stati semi-allucinatori da «sogno a occhi aperti» in cui la percezione del testimone si verificherebbe attingendo allo stesso tempo all'esperienza reale, del momento, e a quella interiore del singolo, dall'inconscio. In tale eventualità non avremmo allora nessuna indicazione definita sullo stimolo reale all'origine del fenomeno, ma solo una descrizione in buona parte immaginaria elaborata dal soggetto «manipolato » a livello di «locus coeruleus». Si tratta di una prospettiva indubbiamente stimolante.
Chi è Zanfretta
Nella notte tra mercoledì 6 e giovedì 7 dicembre 1978 la Guardia Giurata Fortunato Piero Zanfretta deiristituto di vigilanza privata «Val Bisagno», di Genova, fu trovato in stato di choc ed in preda ad un indicibile terrore nei pressi della villa «Casa Nostra» di Marzano di Torriglia, un piccolo centro sulle alture del capoluogo ligure. Quando si riprese, Zanfretta, raccontò tremando di aver visto un «essere enorme, alto circa tre metri, con la pelle ondulata, come se fosse grasso o tuta molle, comunque grigia, che subito dopo volò via in una gigantesca luce a forma di triangolo sormontala da lucette di diverso colore». Sottoposto ad ipnosi, l'uomo non solo confermò la sua avventura, ma disse di essere stato trascinato sull’«astronave» da quattro esseri mostruosi che lo avrebbero minuziosamente esaminato. Un'inchiesta dei Carabinieri accertò che 52 testimoni avevano osservato un enorme disco volante luminoso volteggiare in quelle ore su Torriglia. Inoltre, sul prato dove Zanfretta fu ritrovato dai suoi colleghi, i Carabinieri scoprirono una larga traccia a forma di ferro di cavallo. Non si è ancora spenta l'eco di quel misterioso incontro ravvicinato del terzo tipo, che dopo venti giorni l'esperienza si ripete. Questa volta i Carabinieri scoprono accanto all'auto del metronotte orme lunghe oltre 50 centimetri. È l’inizio del Caso Zanfretta. In seguito si sono avuti altri suoi incontri con gli UFO; ma Zanfretta non è un «contattista». In USA il metronotte, che viene interrogato nel 1984 a Genova in occasione del 3° Congresso Nazionale di Ufologia del CUN dallo stesso Prof. Hynek sui particolari del suo sequestro (abduction), sarebbe definito piuttosto un «repeater» (cioè un soggetto coinvolto in manifestazioni ripetitive di «incontri ravvicinati»), in quanto si è trovato periodicamente al centro di esperienze di «rapimento da UFO» da allora in poi, sempre associate alle stesse entità mostruose: i «Dargos». Sottopostosi fin dal 1979 alla prova del pentotal (il siero della verità), Zanfretta ha così provato a suo rischio e pericolo la propria buona fede, dimostrandosi in seguito pure all'analisi di psicologi e psichiatri per quello che è: un giovane marito e padre equilibrato e perfettamente normale, che in quanto tale continua a svolgere tuttora la propria attività professionale di Guardia Giurata armata; e che oggi spera di dimenticare una serie di esperienze tutt'altro che piacevoli in cui si è trovato coinvolto suo malgrado. La sua storia è narrata nell'ottimo volume del giornalista genovese Rino Di Stefano «Luci nella notte: il caso Zanfretta » (Ed. Alkaest, Genova 1984).
Dagli abissi dell'inconscio
È sempre in tale ottica che si colloca, relativamente ai casi di «abduction», il recente contributo dell'americano Alvin H. Lawson, il cui nome è ormai indicato come sinonimo di demistificazione delle tecniche di ipnosi regressiva applicate all'indagine ufologica. Riprendendo motivi già espressi nel 1977, Lawson ha ampliato i suoi precedenti studi e nel 1981, in occasione della seconda edizio-ne del Congresso del Center for UFO Studies (CUFOS) del Prof. Hynek, ha presentato una originale ipotesi, a suo dire verificabile in tutto e per tutto, circa la vera natura dei casi di «abduction ». I «rapimenti da UFO», egli sostiene, sarebbero ciò dovuti non all'intervento di entità extraterrestri o comunque ad una matrice esterna al protagonista; bensì costituirebbero il riaffiorare, dagli abissi dell'inconscio del soggetto, di una forma di memoria pre-natale legata a vari aspetti e momenti del trauma da nascita vissuto dal singolo. In tale prospettiva tutto si ridurrebbe a mere esperienze psicologiche con implicazioni evidentemente trascendenti il fenomeno UFO ed inerenti invece la ricerca sulla vita intrauterina, la coscienza ed il cervello. Anche se gli resta da chiarire come il sistema neurologico evidentemente primitivo del feto possa in effetti ritenere informazioni per poi recuperarle in forma di visualizzazioni e sensazioni, tali da tradursi poi, in base a meccanismi psicologici ancora da definire, in una «sceneggiata» a base di UFO e «abduction », Lawson ritiene di poter ridurre tutto a dei «flash-back» di una «protomemoria » da cui riaffiorano visualizzazioni dell'utero materno (cfr. i tunnel e/o corridoi di accesso a i r UFO in taluni casi), di immagini fetali (umanoidi glabri e calvi, esili e macrocefali), di clinici (volti mascherati), dell'azione di ostetrici (esami fisici subiti dal soggetto rapito), della sala parto con la relativa illuminazione (grandi stanze e luci brillanti a bordo dell'UFO), e via dicendo. Va da sè che questa originale «chiave di lettura» del fenomeno dei «rapimenti da UFO» ha sedotto non pochi di quegli ufologi che — sulla discutibile scia di certi esponenti della «nouvelle vague» ufologica francese (Monnerie, Caudron, Brucker, Barthel, etc.) — tendono a ridurre il fenomeno UFO a qualcosa di soggettivo, psicologico, o tutt'al più socio-antropologico. Non già una realtà oggettiva ed esterna al protagonista, dunque, ma qualcosa la cui intima matrice andrebbe ricercata nell'individuo, lo si consideri isolatamente ovvero in rapporto all'inconscio collettivo del corpo sociale che gli è proprio. Di qui, ad esempio, l'osservazione che le mostruose creature che avrebbero rapito Zanfretta ricorderebbero, per taluni aspetti, il protagonista di un famoso film di fantascienza degli Anni Cinquanta: il classico «The Creature from the Black Lagoon» (portato sugli schermi italiani col titolo «Il mostro della Laguna Nera), ispiratore diretto di un paio di episodi di un noto fumetto italiano (Zagor, disegnato da Donatelli, creato nel 1961) che, si è osservato, Zanfretta potrebbe aver letto ed inconsciamente «immagazzinato» a livello archetipo nel proprio subconscio. In occasione della sua esperienza, in tal caso, il metronotte — qualunque cosa abbia vissuto —avrebbe potuto adattare a questa ultima tale mostruoso modello inconscio. Un'interpretazione cui si appaia l'altra secondo la quale l'archetipo mostruoso in questione deriverebbe direttamente dal film sopra menzionato che Zanfretta bambino potrebbe aver visto (ed oggi onestamente non ricordare più). Concretezza dei fatti Ho voluto ricordare tutto questo — in realtà patrimonio semi-esclusivo degli «addetti ai lavori» italiani del settore — per evidenziare l'atteggiamento critico ed ipercritico di alcuni studiosi che, forse un po' troppo bramosi del consenso di un «establishment» scientifico che (per lo più disinformato sulla realtà della fenomenologia UFO) solitamente snobba o irride l'argomento, sembrano dimenticare che, al di là di qualsiasi componente psicologica, in ufologia come in qualsiasi altro campo di indagine bisogna dare precedenza ai fatti oggettivi. E i fatti oggettivi sono — e restano — tutt'altro che limitati a Pier Fortunato Zanfretta, tanto per tornare nel seminato. Inquirenti privati ma anche forze dell'ordine che hanno esperito indagini in loco hanno infatti più volte constatato l'evidenza di una qualche «presenza » che ha lasciato tracce di sè in concomitanza con le esperienze del metronotte, e i colleghi di quest'ultimo hanno condiviso più volte con lui la constatazione di manifestazioni sconcertanti. Per non parlare dei residenti nelle località teatro degli eventi, più volte testimoni di avvistamenti ufologici. Vogliamo ignorarlo, forse? Nel suo meticoloso e dettagliato resoconto dei vari aspetti e momenti del «caso Zanfretta» il giornalista Rino Di Stefano riporta doverosamente tutto questo. Non sarebbe serio cercare di ignorare dei dati di fatto constatati da più persone, testimoni involontari ed indipendenti. Si potrà, semmai, discutere sulla effettiva difficoltà di poter inquadrare il tutto in un contesto misurabile e quantizzarle, e come tale avente dunque rilevanza per la scienza di oggi. Ma non è lecito, di contro, disconoscere ad esempio i pur empirici controlli tecnici verificati a bordo dell'auto di servizio usata dal metronotte (a tal fine precedentemente allestita dai tecnici della stessa Valbisagno) in occasione di un suo presunto «incontro ravvicinato del terzo tipo» (e che proverebbero che la vettura è stata sollevata in aria). Così pure, anche se è legittimo polemizzare sull'uso e l'abuso dell'ipnosi regressiva in ufologia, come spiegare i non pochi elementi emersi durante le regressioni ipnotiche di Zanfretta (ad esempio, il dichiarato rapporto fra una segnalazione ufologica in effetti verificatasi in Spagna immediatamente, prima ed uno dei vari «incontri ravvicinati del terzo tipo» del metronotte) aventi una realtà oggettiva e non certo spiegabili con pretestuose e riduttive ipotesi «psicologiche» di comodo? La stessa ipotesi di un Lawson, per quanto riguarda il «caso Zanfretta», sembra in realtà tutt'altro che adattabile. Quale rapporto possa sussistere fra «rapitori» macrocefali, glabri, calvi ed esili (ricollegabili alla figura del feto) e le entità descritte da Pier Fortunato non saprei proprio, infatti. I suoi «Dargos» non rientrano certo in schemi simili, evidentemente. Mi sembra semmai indicativo il fatto che di recente, nel suo volume «11 romanzo della scienza (Broca 9s Brain), uno scienziato del calibro di Cari Sagan, l'esobiologo direttore del Laboratorio per gli studi planetari della Cornell University che in passato non ha disdegnato di occuparsi anche degli UFO, ricolleghi espressamente il trauma da nascita non già ad una «sceneggiata» basata sul tema «abduction», bensì all'esperienza (oggetto di studio della odierna «tanatologia») tipica dei soggetti che, clinicamente morti, sono stati successivamente restituiti alle normali funzioni vitali: una esperienza «di frontiera» quasi mistica, riferita all'impressione di volare e di emergere dalle tenebre alla luce, nella vaga percezione di una figura eroica solitamente avvolta da un alone abbagliante. Tale visione gratificante ed esaltante (ricavata dall'esperienza prenatale del singolo?) evidentemente non ha nulla a che fare con quelle tipiche dei «rapimenti da UFO». L'una esclude chiaramente l'altra. E una delle due è fasulla, evidentemente. Lawson, dunque, è lungi dall'aver detto una parola definitiva al riguardo. E allora? Allora, a mio avviso, bisognerebbe avere il coraggio di guardare in faccia la realtà una volta per tutte. Così come la fenomenologia UFO è costituita da elementi tangibili e concreti accanto a componenti che sfuggono a qualsiasi misurazione e quantificazione, anche il fenomeno dei «rapimenti da UFO» è caratterizzato da questo stato di cose. Prendere atto questo — e il «caso Zanfretta » ne è solo l'ennesima dimostrazione — significa dunque operare non disgiungendo il fenomeno UFO presente a latere dalla realtà sgradevole e traumatizzante della «abduction» (anche se non sappiamo ancora quanto «filtrata» ed elaborata dal protagonista). Chi lo fa, in base a schemi aprioristici e precostituiti correrà sempre il rischio di relegare in schemi angusti e riduttivi un'esperienza che trascende i limiti psicologici e patologici a noi noti per collocarsi in un contesto tutto suo: quello ufologico, caratterizzato in gran parte da componenti oggettive del tutto estranee al soggetto umano. Non dimentichiamolo. Nonostante tutto la risposta, dunque, va ricercata non tanto o soltanto nell'uomo Pier Fortunato Zanfretta, — o in qualsiasi altro «rapito» di turno — ma piuttosto fuori di lui, ignaro e involontario strumento di un fenomeno oggettivo ma sfuggente che si manifesta con sempre maggiore incidenza da oltre quarantanni a questa parte. E che forse un giorno comprenderemo più di quanto non ci sia possibile oggi.
Roberto Pinotti
Cliccare qui per vedere lo sceneggiato televisivo in 2 puntate sul caso Zanfretta realizzato dalla RAI nel 1984 (Durata: 62 minuti circa)
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