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Fantascienza: 100 anni di film capolavori (sci-fi evolution tribute) nessuno200
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ALLA RICERCA DEL TEMPO INVENTATO
Isaac Asimov, uno dei più grandi e più letti scrittori di fantascienza
Le dimensioni della scienza e della fantasia, la prima capace di concretizzarsi nell'evoluzione tecnologica, la seconda di fecondare visioni, immagini, pensieri che si proiettano attraverso l'indagine mentale, hanno dato vita a un genere letterario che ha attirato e continua ad appassionare tuttora milioni di lettori in tutto il mondo: la fantascienza. Un genere che non ha una data precisa di nascita, ma che una volta preso avvio si è evoluto, raffinato, potenziato implacabilmente come nessun altro filone della letteratura contemporanea. Questo perché, come è stato evidenziato a lungo da studiosi e critici, l'idea stessa della scienza inevitabilmente rimanda al concetto di futuro, di progresso generalizzato al quale non si può dare ovviamente una sostanza, ma che può essere visualizzato attraverso una forma o un'immagine, scaturite appunto dalla capacità fantastica. Inoltre, la proiezione futura richiama un altro componente fondamentale che incrementa il fascino e la dimensione del fantastico: l'ignoto. Ciò che sta oltre, quello che si cela al di là del conosciuto, del certo, del razionale. Su queste basi, su queste proiezioni immaginifiche originate dalla conquista scientifica e tecnologica, dunque, si deve ricercare il punto di partenza della science fiction. Se proprio si deve dare una data d'inizio, questa può essere il 1818, quando Mary Wollstonecraft Shelley, moglie del celebre poeta inglese Percy Bysshe, scrisse il celeberrimo Frankenstein, ovvero il moderno Prometeo, il primo romanzo che, attraverso la restituzione alla vita di una creatura formata da diversi pezzi e organi di cadaveri, descrisse un'immagine fantastica (la vita oltre la morte), basandosi sulle prime conquiste scientifiche dell'epoca e, soprattutto, sull'emozione procurata dalla lettura del trattato naturalistico Zoonomia, pubblicato tra il 1794 e il 1796 da Erasmus Darwin, nonno di Charles. Se da una parte, però, il Frankenstein si proietta in una dimensione che travalica la semplice esperienza narrativa di un mostro creato dalla volontà umana desiderosa di vincere la morte, dall'altra si può ben dire che le atmosfere, gli ambienti e la psicologia dei personaggi sono ancora direttamente legati alla struttura del romanzo gotico, imperniato sul mistero e sull'orrido. Anche Edgar Allan Poe può essere considerato uno dei protomaestri della fantascienza. Un suo racconto del 1841, La discesa nel Maelstrom, è a dir poco esemplare per ciò che riguarda una delle componenti fondamentali della science fiction:
il cosiddetto sense of wonder (senso del meraviglioso), capace di rendere attonito il lettore con scenari in cui l'elemento reale non solo viene frantumato da visioni fantastiche, ma dove il rapporto spazio-tempo perde ogni connotazione logica e abituale per trasformarsi in dimensioni infinite, prive di precisi punti di riferimento nei quali riconoscere canoni di matrice umana. Fu proprio lo scrittore americano ad aprire la strada ad uno dei maggiori protagonisti della fantascienza degli esordi, il francese Jules Verne. Quest'ultimo rimase sempre impressionato dagli aspetti scientifici che Poe aveva saputo utilizzare nei suoi racconti. Ma se lo scrittore statunitense aveva saputo valorizzare gli elementi implosivi (psicologia dei personaggi, elementi misteriosi e simbolismi orrorifici), Verne volle sviluppare maggiormente i fattori esterni, scaturiti dalle scoperte scientifiche del tempo. Romanzi come Dalla Terra alla Luna e Ventimila leghe sotto i mari rappresentano esempi di un modo di fare fantascienza basata sulle effettive invenzioni tecnologiche della seconda metà dell'Ottocento. Verne, infatti, non elaborò possibili conquiste scientifiche del futuro sulle quali impiantare storie o trame, ma costruì tessuti narrativi "possibili" che presero sempre spunto dai valori scientifici reali della sua epoca. Da qui si può comprendere come Verne non sia stato assolutamente un "visionario", ma che abbia solo teso a perfezionare elementi tecnologici che ebbe modo di conoscere e vedere in azione. Il proiettile di un cannone si trasformò così nell'astronave, dalla forma di un'ogiva, con la quale conquistare la Luna, e i primi sottomarini, usati durante la guerra di Secessione americana, diedero vita al celebre Nautilus del capitano Nemo, capace di squartare in due le navi e lottare con i mostri abissali degli oceani. La visione fantascientifica di Verne fu indubbiamente improntata su un grande ottimismo, anche per via delle risposte che la filosofia positivista fornì all'epoca dello scrittore francese.
Ma queste stesse risposte esaurirono la loro funzione già sul finire del XIX secolo, quando sulla ribalta della science fiction salì uno scrittore britannico destinato a lasciare un segno importantissimo: Herbert George Wells. I suoi romanzi, dall'Uomo invisibile, alla Guerra dei mondi, dalla Macchina del tempo all'Isola del dottor Moreau non hanno rappresentato solo un ulteriore passo avanti delle tematiche fantascientifiche, ma hanno anche portato alla nascita di quel filone particolare, definito "analitico", che verrà ripreso soprattutto dalla fantascienza americana e inglese degli anni Cinquanta e Sessanta. Wells, infatti, è stato il primo a porsi il problema dello sviluppo scientifico e tecnologico dell'uomo. La sua domanda, che ripercorre simbolicamente tutta la sua produzione letteraria, può essere posta in questi termini: che cosa succederà quando la scienza avrà vinto tutte le sfide? La risposta, per lo scrittore britannico, è una sola: in quel preciso istante, l'uomo si avvierà verso un processo di degenerazione, non più sorretto dalle istanze etiche e politiche. Wells, conscio che i propri romanzi e racconti possedevano una forte valenza letteraria, si rese conto che la scienza avrebbe potuto rappresentare una grande minaccia nei confronti dell'umanità, se quest'ultima non avesse compreso che il progresso tecnologico ha necessariamente dei limiti, superati i quali ogni aspetto etico e sociale viene inevitabilmente rimesso in discussione. Questa visione potenzialmente allarmistica dello scrittore derivò anche dalle sue convinzioni filosofiche, basate su alcuni aspetti della teoria evoluzionistica di Darwin, particolarmente evidente in un'opera come La guerra dei mondi.
Fu con Wells, quindi, che gli aspetti positivi e positivistici della scienza cominciarono a scricchiolare per esplodere definitivamente con gli scrittori di fantascienza che operarono all'indomani della Seconda guerra mondiale. Ma con l'avvento dapprima di Verne e poi di Wells, la fantascienza aveva ormai terminato di muovere i primi passi. Germogliato in Europa, questo genere letterario crebbe e si ramificò all'inizio del XX secolo quasi esclusivamente negli Stati Uniti. Merito soprattutto dell'avvento dei cosiddetti pulp magazines, nati grazie a due fondamentali innovazioni: la linotype e il processo di fabbricazione della carta con l'utilizzo della polpa di legno. Queste riviste, vendute a pochi centesimi ovunque, cominciarono a pubblicare storie fantastiche, con viaggi interplanetari effettuati da scienziati ed eroi pronti ad affrontare mostri e nemici terribili in avventure senza respiro. Maestro indiscusso di quel periodo fu senza dubbio Edgar Rice Burroughs, il celebre inventore del personaggio di Tarzan. Dotato di una fantasia inesauribile, questo scrittore diede vita a centinaia di puntate sui vari magazines con storie (che diventeranno famosi cicli) ambientati su Marte, Venere e sulla Luna. Ma, Burroughs a parte, quasi tutti gli altri scrittori non erano certo dotati di quelle qualità letterarie che potevano interessare la critica ed "elevare" la fantascienza al rango della cosiddetta letteratura mainstream. Inoltre, l'inevitabile "ghettizzazione" nei pulp magazines costrinse il genere della science fiction ad autoescludersi forzatamente dal giro letterario. Un fatto che l'ha sempre esiliata per molti anni ma che, allo stesso tempo, paradossalmente le ha permesso di emergere e prosperare grazie agli appassionati e agli aficionados, capaci di seguire fedelmente pubblicazioni e autori.
Un momento importante fu la creazione nel 1926 di una celebre rivista specializzata, destinata ad entrare nella leggenda: Amazing Stories, voluta da quell'autentico promotore e "mecenate" della science fiction che fu Hugo Gernsback. Fu proprio con lui che questo genere letterario si affinò e si focalizzò su quelle tematiche che portarono all'inizio di quella che i critici e gli studiosi hanno definito la Golden Age, l'"età d'oro" della fantascienza. La rivista, oltre a pubblicare dapprima le opere di Poe, Verne e Wells, lanciò in seguito i romanzi di autori come E.E. "Doc" Smith, John Campbell, Jack Williamson ed Edmond Hamilton. Il denominatore comune di questi autori, con i loro romanzi, fu quello di proporre e ampliare quel famoso sense of wonder prefigurato quasi un secolo prima da Poe. Il meraviglioso fu raccontato attraverso epiche avventure in tutto l'universo, con l'uso di astronavi di mastodontiche dimensioni, capaci di viaggiare alla velocità dell'iperluce e di utilizzare armi dai terrificanti poteri in grado di distruggere intere galassie. Fu la tecnologia, quindi, a farla da padrone, con l'uomo proiettato alla conquista dello spazio, come meno di cento anni prima lo era stato del Far west. Un tale genere di narrazione portò a identificare questo filone con il termine di Space opera. Indubbiamente, quella fu l'epoca di una fantascienza piena di fervori ottimistici, che generò inevitabilmente una visione antropocentrica dell'universo. Un filone che riprese e naturalmente amplificò quelle tematiche anticipate da Jules Verne.
Le conquiste scientifiche, che erano sempre il punto di partenza di queste epopee intergalattiche, erano viste come fondamentali benefattrici del genere umano, in grado di affrancare dalla fatica, dalle malattie e, in alcuni casi, perfino dalla vecchiaia e dalla morte. Insomma, più l'uomo si allontanava dalla Terra alla scoperta e alla conquista degli immensi spazi
Il manifesto di Blade Runner,
film culto di Ridley Scott
siderali, più la nostra stessa civiltà, attraverso le descrizioni degli scrittori appartenenti alla Golden Age, appariva perfezionata, priva di violenza, fame, guerre e povertà. Eppure, in quello stesso periodo, alcuni scrittori, più sensibili e lungimiranti di altri, cominciarono a descrivere scenari futuri in cui l'ottimismo scaturito dalle grandi scoperte scientifiche e tecnologiche lasciava spazio a visioni più simboliche e, allo stesso tempo, anche più concrete e aderenti alla realtà circostante. Uno di questi autori, noto anche al grande pubblico che non si interessa di fantascienza, è stato senz'altro Isaac Asimov che, prima di essere uno dei più grandi esponenti della science fiction mondiale, si è fatto conoscere come brillante scienziato (docente di biochimica e apprezzato divulgatore scientifico). La sua fama, oltre ai romanzi e racconti dedicati alla "robotica", è legata al celeberrimo ciclo della Fondazione, costituito da sette romanzi, iniziato negli anni Trenta e ultimato quasi quarant'anni dopo. Asimov decise di scrivere questa epopea galattica sotto l'influsso della lettura del celebre saggio Il declino e la caduta dell'impero romano di Edward Gibbon. Nelle migliaia di pagine, che compongono questo ciclo, vengono narrate le imprese e le avventure del Primo Impero Galattico fino alla nascita del Secondo: il tutto in un arco di tempo di trentamila anni. Qui, il semplice ottimismo e il desiderio di conquista degli spazi sono sostituiti da aspetti e risvolti molto più profondi e raffinati. Non si racconta solo l'inizio del tutto, ma soprattutto si punta sugli sviluppi che, prima o poi, portano inevitabilmente alla fine di qualunque tipo di materia. Se, prima di Asimov, la scienza poteva essere il pretesto, l'applicazione sostanziale di una trama, con lui le proiezioni scientifiche sono diventate esatte, concrete al punto di modificare necessariamente (e non solo sul piano della fantasia) gli intrecci e le concatenazioni che legano fatti e personaggi. Da quel momento, tutta quella fantascienza che si proponeva non solo di raccontare, ma anche di svelare e simboleggiare la realtà del presente, ha dovuto fare i conti con questo fattore. Se la fantasia poteva galoppare indisturbata, la scienza doveva avere basi più solide, più formative all'interno dell'intreccio narrativo. Ecco perché molti scrittori di fantascienza (come "Doc" Smith, Campbell, Clarke, Benford, Niven & Pournelle, Rucker, tanto per citarne alcuni) sono o sono stati specialisti in materie scientifiche. A tale proposito, ecco ciò che ha affermato David Brin, uno dei maggiori autori dell'ultima generazione: "La metà degli scienziati che io conosco, ha iniziato a muovere i primi passi proprio con la fantascienza.
E' questo che in parte ha reso i moderni scienziati non solo più preparati, ma anche più svegli e intelligenti. Siamo tutti più bravi di trent'anni fa; sfruttiamo meglio il flusso d'informazione, siamo più curiosi, più tolleranti, meno timorosi di scoprirci fragili, e di rimanere condizionati negativamente dal contatto con altre influenze ed altre idee". La maggiore preparazione scientifica portò, nella seconda metà degli anni Trenta, la Space opera a lasciare il posto alla Science Age, proprio per ribadire la supremazia degli aspetti tecnologici nella struttura della science fiction. Amazing Stories venne affiancato ben presto da altre pubblicazioni, tra le quali Astounding Science Fiction, Astonishing Stories e Super Science Stories, le ultime due dirette da Frederick Pohl. Ma fu l'inizio della Seconda guerra mondiale a modificare ancora gli intenti e le visioni della letteratura fantascientifica di quel periodo. Le trame e le visioni subirono un'inversione radicale: non era più l'uomo a partire dalla Terra per sottomettere altri mondi e altre popolazioni, ma era il nostro pianeta ad essere attaccato (quasi sempre dai marziani), tipica allegoria del pericolo rappresentato da Hitler e il nazismo. L'ottimismo che aveva caratterizzato le prime espressioni della science fiction erano ormai solo un ricordo. L'incubo del conflitto implodeva la voglia di esplorazioni e conquiste: il genere umano, come aveva prefigurato Wells nel 1898 con La guerra dei mondi, doveva soltanto pensare a difendersi dalle truppe tedesche travestite da marziani e venusiani.
Con l'avvento della bomba atomica e l'inizio degli anni Cinquanta, la fantascienza subì un nuovo cambiamento.
Lasciatasi alle spalle le avventure intergalattiche e l'ausilio stretto della scienza (la cosiddetta hard science fiction), questo genere letterario doveva ormai fare i conti con un presente e una realtà stravolti dalla minaccia della Guerra fredda e dall'esplosione di problemi di ordine planetario: il sottosviluppo, la minaccia dell'inquinamento e della sovrappopolazione, il rapporto sempre più ambiguo e pressante con le macchine (simboleggiato dall'avvento degli androidi). Questi impellenti fattori confluirono in quella che è stata definita l'"epoca sociologica" della fantascienza. Amazing Stories e le altre riviste della Golden Age vennero rimpiazzate da The Magazine of Fantasy and Science Fiction e, soprattutto, da Galaxy, diretta da Horace Gold. Quest'ultimo volle dare al periodico un'impronta precisa e particolare: calare le vicende fantascientifiche sul presente dell'uomo, improntando le storie e le trame anche su sfumature amare, ironiche e satiriche. In breve, Galaxy diventò l'epicentro di quella fantascienza sociologica che diede un aspetto decisamente impegnato a questo genere. Fu nelle sue pagine che venne pubblicata una delle opere fantascientifiche più note, Fahrenheit 451 di Ray Bradbury (trasposto cinematograficamente nel 1966 dal regista François Truffaut), dove si immaginava una società futura che distruggeva tutti i libri ancora in circolazione e che riecheggiava la "caccia alle streghe" invocata dal clima maccartista. E' facile intuire, quindi, come le atmosfere evocate da quel tipo di fantascienza non avessero ormai più nulla di utopico, come invece era successo con i romanzi di Campbell e "Doc" Smith.
Autori come Pohl, Vonnegut, Scheckey trasformarono le loro opere in laboratori di antiutopia dove, al posto di universi o realtà ipotizzabili, vennero descritte tutte quelle patologie sociali e culturali che affliggevano la Terra. Si avvertì soprattutto l'esigenza di mettersi dalla parte del diverso, con romanzi in cui gli eroi non erano più esseri umani, bensì robot e androidi. Fu sull'onda di queste emozioni che, negli anni immediatamente seguenti, si formò un gruppo di scrittori, soprattutto britannici, raccolti intorno al cosiddetto filone della New wave. Ne fecero parte autori come Ballard, Aldiss e Brunner in Inghilterra e Norman Spinrad negli Stati Uniti. L'irruzione di questa nuova corrente di science fiction portò a un radicale cambiamento soprattutto nel tipo di linguaggio che non si basò più sull'espressione di concetti esplicativi, con trame omogenee e lineari. Al loro posto furono sperimentati monologhi interiori, trame narrative spezzate a livello temporale e spaziale, flussi di coscienza rielaborati e modificati a livello soggettivo, al limite della stessa comunicabilità. E' il caso di James Ballard, uno degli autori più controversi e rivoluzionari della New wave, che decise di esplorare non lo "spazio esterno", bensì quello "interno", cioè le strutture psichiche e inconsce dell'uomo, con tutti i suoi paradossi e contraddizioni, sbilanciato tra il concetto di "reale" e di "immaginario". Un dualismo di fondamentale importanza, questo, che è stato ripreso, ampliato, perfezionato e "canonizzato" da quello che resta forse il più profondo e visionario scrittore di fantascienza che sia mai esistito: Philip K. Dick. Questo autore statunitense, morto nel 1982 all'età di 54 anni, ha conosciuto una grandissima fama solo dopo la scomparsa e le sue opere sono diventate, in breve tempo, dei veri e propri cult books.
Merito anche della straordinaria personalità e della particolarissima visione del mondo che Dick ha immesso nei suoi romanzi e racconti. A partire da quella che può essere definita la "trilogia" ideale, composta dai romanzi La svastica sul sole, Ubik e Un oscuro scrutare. Il primo, che rivelò clamorosamente il nome di Dick alla comunità fantascientifica, appartiene al cosiddetto genere dell'ucronia, cioè quello che narra vicende e fatti appartenenti a un mondo possibile, alternativo a quello reale. Nel caso specifico, ne La svastica sul sole s'immagina che le forze dell'Asse abbiano vinto la Seconda guerra mondiale e che i nazisti e i giapponesi si siano spartiti gli Stati Uniti, mentre all'Italia fascista sono andate soltanto le briciole. Sulla base di questa proiezione fantastorica, Dick ha imbastito una serie di personaggi e situazioni straordinariamente verosimili. Proprio questa verosimiglianza rappresenta il punto di partenza, il centro dal quale si dicotomizza ciò che è reale e ciò che è immaginario. Anche gli altri due romanzi sono stati costruiti e scritti da Dick per proiettare nei lettori impasti spazio-temporali, in cui la realtà e il suo simulacro si uniscono e si mescolano, costituendo una trama in cui i vari personaggi confluiscono in dimensioni dove il soggettivo e l'oggettivo perdono irrimediabilmente i reciproci contorni. La straordinaria capacità visionaria di questo scrittore ha permesso al cinema di trarre da un suo romanzo (Cacciatore di androidi) e da un suo racconto (Memoria totale) due celebri film. Il primo è Blade runner, un cult movie con la regia di Ridley Scott; il secondo, diretto dal regista olandese Verhoeven, è Atto di forza con Arnold Schwarzenegger.
Ma Dick e Ballard sono anche considerati padri e iniziatori di uno dei più celebri generi della fantascienza contemporanea: il cyberpunk, che la maggior parte dei critici fa iniziare da una data ben precisa, il 1984, quando lo scrittore americano William Gibson ha pubblicato il romanzo Neuromante, storia di un cow boy della rete, capace di muoversi come nessun altro all'interno dello spazio cibernetico. Ancora una volta, quindi, la fantascienza è riuscita a simboleggiare e a visualizzare i cambiamenti sempre più repentini della nostra società. In effetti, gli anni Ottanta hanno visto l'irruzione dei computer e la lenta espansione di quello che è il fenomeno principe del decennio successivo: Internet. Il genere del cyberpunk, forse come nessun altro filone della fantascienza, ha saputo quindi anticipare e sviluppare compiutamente un futuro che ormai si è tramutato e realizzato nel presente. Un caso unico, visto che Bruce Sterling, teorico del cyberpunk, ha definito all'inizio degli anni Novanta ormai esaurite le tematiche sviluppate dal movimento. In pochissimi anni, dunque, la fantascienza ha saputo intuire e focalizzare uno dei principali indirizzi che hanno portato allo sviluppo e all'odierna struttura della nostra civiltà. A questo punto, si pone inevitabilmente una domanda: ma se la fantascienza è in grado di anticipare lo svelarsi del futuro, è destinata a esaurirsi nel futuro stesso? "Direi proprio di no. Anzi, mai come adesso la funzione della fantascienza è stata così fondamentale", risponde Gianfranco Viviani, editore della casa editrice Nord di Milano, l'unica al mondo a pubblicare unicamente libri di Fantascienza & Fantasy con un catalogo che supera abbondantemente i mille titoli .
"L'aderenza del concetto fantastico con quello scientifico è prioritaria e ci ha permesso di decodificare, di volta in volta, ciò che è stato detto e raffigurato prima che gli eventi si realizzassero. Questo genere letterario non può esaurirsi o, come è stato annunciato in diverse circostanze per altri fattori o applicazioni, entrare in un contesto entropico. Per il semplice fatto che la fantasia nell'uomo, il motore che aziona tutta la macchina della science fiction, non potrà mai esaurirsi. Se ciò dovesse succedere, infatti, tutta la nostra civiltà crollerebbe miseramente. La fantasia stimola l'inventiva, entra in sintonia con l'afflato artistico, permette di scoprire e individuare. Senza di essa l'uomo non potrebbe sopravvivere". Resta da vedere, però, se la science fiction sia finalmente uscita dal "ghetto" che la cosiddetta "alta" letteratura l'ha relegata per così tanto tempo. "Ormai è da diverso tempo che la fantascienza non fa più parte di un genere minore, così come la letteratura horror e thriller", dice Gianfranco Viviani. "Non bisogna scordare, infatti, che Vance, Brunner, Heinlein, Dick, Le Guin, tanto per fare il nome di qualche "mostro sacro", prima di essere degli scrittori di fantascienza, sono soprattutto dei grandi scrittori. Una volta stabilito ciò, è ovvio che, nel corso del tempo, la science fiction, abbia assunto un'importanza sempre più evidente e marcata. Ma se questo discorso è valido per gli Stati Uniti e per alcuni Paesi europei, come la Gran Bretagna e la Francia, non lo è ancora purtroppo per l'Italia. "Il fatto è che nel nostro Paese, effettivamente, la fantascienza non si è ancora scrollata di dosso un determinato processo di emarginazione.
Il pubblico italiano, e qui mi riferisco soprattutto ai lettori della nostra casa editrice, è composto dagli aficionados, dagli appassionati che ci seguono fedelmente da quasi trent'anni. Indubbiamente, per fare cambiare le cose bisogna aumentare il numero di coloro che devono scoprire e amare questo genere letterario. Questo perché ci sono ancora riserve, dubbi, cattiva informazione intorno
Una scena del celeberrimo film Guerre stellari, del quale
Hollywood si accinge a produrre una nuova trilogia
alla science fiction nel nostro Paese, al punto che alcuni titoli di fantascienza della nostra casa editrice hanno ottenuto un più che lusinghiero successo proprio perché non sono stati inseriti in collane dedicate a questo specifico genere. L'importante, quindi, è cercare di cancellare questi luoghi comuni. Non sarà facile, ma il fatto che da tre decenni continuiamo ad essere il punto di riferimento principe della science fiction in Italia, ci fa ben sperare". Una speranza che nasce dal fascino che sprigiona questo genere, capace di immaginare e anticipare diverse scoperte e invenzioni scientifiche che si sono effettivamente realizzate nel tempo. La medicina e la biologia sono tra i campi più privilegiati e sfruttati dagli autori di science fiction. Se già Robert Louis Stevenson, nel 1886, ne Lo strano caso del Dottor Jekyll e Mister Hyde, aveva descritto una storia in bilico tra la fantascienza e l'horror attraverso misteriosi procedimenti biochimici, è proprio la fantascienza del Novecento a rappresentare in modo compiuto e preciso fenomeni che, ormai, fanno parte del nostro presente. Come nel caso della clonazione. A partire da Asimov che, lo ricordiamo ancora, prima di essere uno dei maggiori scrittori di science fiction, è stato un famoso biochimico, fino ad altri autori come Blish, Williamson, Farmer che hanno narrato nei loro romanzi e racconti la riproduzione genetica in specie umane e aliene. La medicina, da parte sua, ha sempre ricevuto una particolare attenzione dagli scrittori di questo genere letterario. Tra i campi più sfruttati sicuramente quello relativo all'epidemiologia, con morbi devastanti capaci di minacciare l'intera umanità, come hanno raccontato Drachman, Maine, Harrison, Crichton. Molte volte, la science fiction ha elaborato e decodificato, attraverso l'azione di elementi esterni e letali (come la minaccia rappresentata da extraterrestri provenienti da altre galassie), strutture psichiche che sono aumentate progressivamente nel corso di questo secolo. In primo luogo la paranoia, descritta in modo magistrale soprattutto dal grande genio di H. P. Lovecraft che, come nessun altro, è riuscito a definire i processi mentali che colpiscono e modificano i comportamenti umani di fronte alla paura e alla presenza del diverso. Questo tema, inoltre, è stato certamente uno dei più utilizzati dagli scrittori di fantascienza a partire dagli anni Cinquanta (aspetti sociologici) e dagli anni Sessanta (problemi ecologici ed economici), soprattutto da autori britannici appartenenti, come abbiamo visto, alla cosiddetta New wave. In tutta la storia di questo genere, però, una materia è stata descritta, analizzata, proiettata come nessun'altra: quella delle scoperte e delle invenzioni, che rappresenta il centro di tutto l'universo fantascientifico.
Inventare e scoprire porta inevitabilmente con sé non solo la novità, il salto in avanti, la consapevolezza di salire sul piano del progresso ma, parallelamente, comporta anche incognite, dubbi, incertezze. La fantascienza si è impossessata fin da subito di questa discriminante. E l'era della bomba atomica ha segnato indubbiamente la svolta di questa tematica. Proprio queste straordinarie capacità da parte della fantascienza di analizzare e rendere esplicita la visione del doppio (cioè manifestare il dubbio presente nella certezza), di spiegare la causa attraverso la narrazione dell'effetto, fanno di questo genere letterario un veicolo formidabile per concepire la grandezza e la miseria dell'uomo, le sue speranze e le sue paure. Forse, mai come adesso, la science fiction può indicare una strada, una direzione all'essere umano in questo transito temporale tra il secondo e il terzo millennio. Le idee, unite alla fantasia, rappresentano il migliore passaporto esistenziale per aprire la porta del Duemila ed entrare con minore paura e angoscia. Allo stato attuale, la science fiction cela in sé l'immagine di colui che vigila e osserva, una presenza che ci segue silenziosamente, immersi in quella che noi crediamo si chiami "realtà". Questa presenza ricorda ossessivamente uno dei personaggi più misteriosi e affascinanti creati da Philip K. Dick nel suo romanzo Ubik, il quale si manifestava agli altri sempre con queste inquietanti parole: "IO SONO VIVO E VOI SIETE MORTI".
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di ANDREA BEDETTI
Isaac Asimov, uno dei più grandi e più letti scrittori di fantascienza
Le dimensioni della scienza e della fantasia, la prima capace di concretizzarsi nell'evoluzione tecnologica, la seconda di fecondare visioni, immagini, pensieri che si proiettano attraverso l'indagine mentale, hanno dato vita a un genere letterario che ha attirato e continua ad appassionare tuttora milioni di lettori in tutto il mondo: la fantascienza. Un genere che non ha una data precisa di nascita, ma che una volta preso avvio si è evoluto, raffinato, potenziato implacabilmente come nessun altro filone della letteratura contemporanea. Questo perché, come è stato evidenziato a lungo da studiosi e critici, l'idea stessa della scienza inevitabilmente rimanda al concetto di futuro, di progresso generalizzato al quale non si può dare ovviamente una sostanza, ma che può essere visualizzato attraverso una forma o un'immagine, scaturite appunto dalla capacità fantastica. Inoltre, la proiezione futura richiama un altro componente fondamentale che incrementa il fascino e la dimensione del fantastico: l'ignoto. Ciò che sta oltre, quello che si cela al di là del conosciuto, del certo, del razionale. Su queste basi, su queste proiezioni immaginifiche originate dalla conquista scientifica e tecnologica, dunque, si deve ricercare il punto di partenza della science fiction. Se proprio si deve dare una data d'inizio, questa può essere il 1818, quando Mary Wollstonecraft Shelley, moglie del celebre poeta inglese Percy Bysshe, scrisse il celeberrimo Frankenstein, ovvero il moderno Prometeo, il primo romanzo che, attraverso la restituzione alla vita di una creatura formata da diversi pezzi e organi di cadaveri, descrisse un'immagine fantastica (la vita oltre la morte), basandosi sulle prime conquiste scientifiche dell'epoca e, soprattutto, sull'emozione procurata dalla lettura del trattato naturalistico Zoonomia, pubblicato tra il 1794 e il 1796 da Erasmus Darwin, nonno di Charles. Se da una parte, però, il Frankenstein si proietta in una dimensione che travalica la semplice esperienza narrativa di un mostro creato dalla volontà umana desiderosa di vincere la morte, dall'altra si può ben dire che le atmosfere, gli ambienti e la psicologia dei personaggi sono ancora direttamente legati alla struttura del romanzo gotico, imperniato sul mistero e sull'orrido. Anche Edgar Allan Poe può essere considerato uno dei protomaestri della fantascienza. Un suo racconto del 1841, La discesa nel Maelstrom, è a dir poco esemplare per ciò che riguarda una delle componenti fondamentali della science fiction:
il cosiddetto sense of wonder (senso del meraviglioso), capace di rendere attonito il lettore con scenari in cui l'elemento reale non solo viene frantumato da visioni fantastiche, ma dove il rapporto spazio-tempo perde ogni connotazione logica e abituale per trasformarsi in dimensioni infinite, prive di precisi punti di riferimento nei quali riconoscere canoni di matrice umana. Fu proprio lo scrittore americano ad aprire la strada ad uno dei maggiori protagonisti della fantascienza degli esordi, il francese Jules Verne. Quest'ultimo rimase sempre impressionato dagli aspetti scientifici che Poe aveva saputo utilizzare nei suoi racconti. Ma se lo scrittore statunitense aveva saputo valorizzare gli elementi implosivi (psicologia dei personaggi, elementi misteriosi e simbolismi orrorifici), Verne volle sviluppare maggiormente i fattori esterni, scaturiti dalle scoperte scientifiche del tempo. Romanzi come Dalla Terra alla Luna e Ventimila leghe sotto i mari rappresentano esempi di un modo di fare fantascienza basata sulle effettive invenzioni tecnologiche della seconda metà dell'Ottocento. Verne, infatti, non elaborò possibili conquiste scientifiche del futuro sulle quali impiantare storie o trame, ma costruì tessuti narrativi "possibili" che presero sempre spunto dai valori scientifici reali della sua epoca. Da qui si può comprendere come Verne non sia stato assolutamente un "visionario", ma che abbia solo teso a perfezionare elementi tecnologici che ebbe modo di conoscere e vedere in azione. Il proiettile di un cannone si trasformò così nell'astronave, dalla forma di un'ogiva, con la quale conquistare la Luna, e i primi sottomarini, usati durante la guerra di Secessione americana, diedero vita al celebre Nautilus del capitano Nemo, capace di squartare in due le navi e lottare con i mostri abissali degli oceani. La visione fantascientifica di Verne fu indubbiamente improntata su un grande ottimismo, anche per via delle risposte che la filosofia positivista fornì all'epoca dello scrittore francese.
Ma queste stesse risposte esaurirono la loro funzione già sul finire del XIX secolo, quando sulla ribalta della science fiction salì uno scrittore britannico destinato a lasciare un segno importantissimo: Herbert George Wells. I suoi romanzi, dall'Uomo invisibile, alla Guerra dei mondi, dalla Macchina del tempo all'Isola del dottor Moreau non hanno rappresentato solo un ulteriore passo avanti delle tematiche fantascientifiche, ma hanno anche portato alla nascita di quel filone particolare, definito "analitico", che verrà ripreso soprattutto dalla fantascienza americana e inglese degli anni Cinquanta e Sessanta. Wells, infatti, è stato il primo a porsi il problema dello sviluppo scientifico e tecnologico dell'uomo. La sua domanda, che ripercorre simbolicamente tutta la sua produzione letteraria, può essere posta in questi termini: che cosa succederà quando la scienza avrà vinto tutte le sfide? La risposta, per lo scrittore britannico, è una sola: in quel preciso istante, l'uomo si avvierà verso un processo di degenerazione, non più sorretto dalle istanze etiche e politiche. Wells, conscio che i propri romanzi e racconti possedevano una forte valenza letteraria, si rese conto che la scienza avrebbe potuto rappresentare una grande minaccia nei confronti dell'umanità, se quest'ultima non avesse compreso che il progresso tecnologico ha necessariamente dei limiti, superati i quali ogni aspetto etico e sociale viene inevitabilmente rimesso in discussione. Questa visione potenzialmente allarmistica dello scrittore derivò anche dalle sue convinzioni filosofiche, basate su alcuni aspetti della teoria evoluzionistica di Darwin, particolarmente evidente in un'opera come La guerra dei mondi.
Fu con Wells, quindi, che gli aspetti positivi e positivistici della scienza cominciarono a scricchiolare per esplodere definitivamente con gli scrittori di fantascienza che operarono all'indomani della Seconda guerra mondiale. Ma con l'avvento dapprima di Verne e poi di Wells, la fantascienza aveva ormai terminato di muovere i primi passi. Germogliato in Europa, questo genere letterario crebbe e si ramificò all'inizio del XX secolo quasi esclusivamente negli Stati Uniti. Merito soprattutto dell'avvento dei cosiddetti pulp magazines, nati grazie a due fondamentali innovazioni: la linotype e il processo di fabbricazione della carta con l'utilizzo della polpa di legno. Queste riviste, vendute a pochi centesimi ovunque, cominciarono a pubblicare storie fantastiche, con viaggi interplanetari effettuati da scienziati ed eroi pronti ad affrontare mostri e nemici terribili in avventure senza respiro. Maestro indiscusso di quel periodo fu senza dubbio Edgar Rice Burroughs, il celebre inventore del personaggio di Tarzan. Dotato di una fantasia inesauribile, questo scrittore diede vita a centinaia di puntate sui vari magazines con storie (che diventeranno famosi cicli) ambientati su Marte, Venere e sulla Luna. Ma, Burroughs a parte, quasi tutti gli altri scrittori non erano certo dotati di quelle qualità letterarie che potevano interessare la critica ed "elevare" la fantascienza al rango della cosiddetta letteratura mainstream. Inoltre, l'inevitabile "ghettizzazione" nei pulp magazines costrinse il genere della science fiction ad autoescludersi forzatamente dal giro letterario. Un fatto che l'ha sempre esiliata per molti anni ma che, allo stesso tempo, paradossalmente le ha permesso di emergere e prosperare grazie agli appassionati e agli aficionados, capaci di seguire fedelmente pubblicazioni e autori.
Un momento importante fu la creazione nel 1926 di una celebre rivista specializzata, destinata ad entrare nella leggenda: Amazing Stories, voluta da quell'autentico promotore e "mecenate" della science fiction che fu Hugo Gernsback. Fu proprio con lui che questo genere letterario si affinò e si focalizzò su quelle tematiche che portarono all'inizio di quella che i critici e gli studiosi hanno definito la Golden Age, l'"età d'oro" della fantascienza. La rivista, oltre a pubblicare dapprima le opere di Poe, Verne e Wells, lanciò in seguito i romanzi di autori come E.E. "Doc" Smith, John Campbell, Jack Williamson ed Edmond Hamilton. Il denominatore comune di questi autori, con i loro romanzi, fu quello di proporre e ampliare quel famoso sense of wonder prefigurato quasi un secolo prima da Poe. Il meraviglioso fu raccontato attraverso epiche avventure in tutto l'universo, con l'uso di astronavi di mastodontiche dimensioni, capaci di viaggiare alla velocità dell'iperluce e di utilizzare armi dai terrificanti poteri in grado di distruggere intere galassie. Fu la tecnologia, quindi, a farla da padrone, con l'uomo proiettato alla conquista dello spazio, come meno di cento anni prima lo era stato del Far west. Un tale genere di narrazione portò a identificare questo filone con il termine di Space opera. Indubbiamente, quella fu l'epoca di una fantascienza piena di fervori ottimistici, che generò inevitabilmente una visione antropocentrica dell'universo. Un filone che riprese e naturalmente amplificò quelle tematiche anticipate da Jules Verne.
Le conquiste scientifiche, che erano sempre il punto di partenza di queste epopee intergalattiche, erano viste come fondamentali benefattrici del genere umano, in grado di affrancare dalla fatica, dalle malattie e, in alcuni casi, perfino dalla vecchiaia e dalla morte. Insomma, più l'uomo si allontanava dalla Terra alla scoperta e alla conquista degli immensi spazi
Il manifesto di Blade Runner,
film culto di Ridley Scott
siderali, più la nostra stessa civiltà, attraverso le descrizioni degli scrittori appartenenti alla Golden Age, appariva perfezionata, priva di violenza, fame, guerre e povertà. Eppure, in quello stesso periodo, alcuni scrittori, più sensibili e lungimiranti di altri, cominciarono a descrivere scenari futuri in cui l'ottimismo scaturito dalle grandi scoperte scientifiche e tecnologiche lasciava spazio a visioni più simboliche e, allo stesso tempo, anche più concrete e aderenti alla realtà circostante. Uno di questi autori, noto anche al grande pubblico che non si interessa di fantascienza, è stato senz'altro Isaac Asimov che, prima di essere uno dei più grandi esponenti della science fiction mondiale, si è fatto conoscere come brillante scienziato (docente di biochimica e apprezzato divulgatore scientifico). La sua fama, oltre ai romanzi e racconti dedicati alla "robotica", è legata al celeberrimo ciclo della Fondazione, costituito da sette romanzi, iniziato negli anni Trenta e ultimato quasi quarant'anni dopo. Asimov decise di scrivere questa epopea galattica sotto l'influsso della lettura del celebre saggio Il declino e la caduta dell'impero romano di Edward Gibbon. Nelle migliaia di pagine, che compongono questo ciclo, vengono narrate le imprese e le avventure del Primo Impero Galattico fino alla nascita del Secondo: il tutto in un arco di tempo di trentamila anni. Qui, il semplice ottimismo e il desiderio di conquista degli spazi sono sostituiti da aspetti e risvolti molto più profondi e raffinati. Non si racconta solo l'inizio del tutto, ma soprattutto si punta sugli sviluppi che, prima o poi, portano inevitabilmente alla fine di qualunque tipo di materia. Se, prima di Asimov, la scienza poteva essere il pretesto, l'applicazione sostanziale di una trama, con lui le proiezioni scientifiche sono diventate esatte, concrete al punto di modificare necessariamente (e non solo sul piano della fantasia) gli intrecci e le concatenazioni che legano fatti e personaggi. Da quel momento, tutta quella fantascienza che si proponeva non solo di raccontare, ma anche di svelare e simboleggiare la realtà del presente, ha dovuto fare i conti con questo fattore. Se la fantasia poteva galoppare indisturbata, la scienza doveva avere basi più solide, più formative all'interno dell'intreccio narrativo. Ecco perché molti scrittori di fantascienza (come "Doc" Smith, Campbell, Clarke, Benford, Niven & Pournelle, Rucker, tanto per citarne alcuni) sono o sono stati specialisti in materie scientifiche. A tale proposito, ecco ciò che ha affermato David Brin, uno dei maggiori autori dell'ultima generazione: "La metà degli scienziati che io conosco, ha iniziato a muovere i primi passi proprio con la fantascienza.
E' questo che in parte ha reso i moderni scienziati non solo più preparati, ma anche più svegli e intelligenti. Siamo tutti più bravi di trent'anni fa; sfruttiamo meglio il flusso d'informazione, siamo più curiosi, più tolleranti, meno timorosi di scoprirci fragili, e di rimanere condizionati negativamente dal contatto con altre influenze ed altre idee". La maggiore preparazione scientifica portò, nella seconda metà degli anni Trenta, la Space opera a lasciare il posto alla Science Age, proprio per ribadire la supremazia degli aspetti tecnologici nella struttura della science fiction. Amazing Stories venne affiancato ben presto da altre pubblicazioni, tra le quali Astounding Science Fiction, Astonishing Stories e Super Science Stories, le ultime due dirette da Frederick Pohl. Ma fu l'inizio della Seconda guerra mondiale a modificare ancora gli intenti e le visioni della letteratura fantascientifica di quel periodo. Le trame e le visioni subirono un'inversione radicale: non era più l'uomo a partire dalla Terra per sottomettere altri mondi e altre popolazioni, ma era il nostro pianeta ad essere attaccato (quasi sempre dai marziani), tipica allegoria del pericolo rappresentato da Hitler e il nazismo. L'ottimismo che aveva caratterizzato le prime espressioni della science fiction erano ormai solo un ricordo. L'incubo del conflitto implodeva la voglia di esplorazioni e conquiste: il genere umano, come aveva prefigurato Wells nel 1898 con La guerra dei mondi, doveva soltanto pensare a difendersi dalle truppe tedesche travestite da marziani e venusiani.
Con l'avvento della bomba atomica e l'inizio degli anni Cinquanta, la fantascienza subì un nuovo cambiamento.
Lasciatasi alle spalle le avventure intergalattiche e l'ausilio stretto della scienza (la cosiddetta hard science fiction), questo genere letterario doveva ormai fare i conti con un presente e una realtà stravolti dalla minaccia della Guerra fredda e dall'esplosione di problemi di ordine planetario: il sottosviluppo, la minaccia dell'inquinamento e della sovrappopolazione, il rapporto sempre più ambiguo e pressante con le macchine (simboleggiato dall'avvento degli androidi). Questi impellenti fattori confluirono in quella che è stata definita l'"epoca sociologica" della fantascienza. Amazing Stories e le altre riviste della Golden Age vennero rimpiazzate da The Magazine of Fantasy and Science Fiction e, soprattutto, da Galaxy, diretta da Horace Gold. Quest'ultimo volle dare al periodico un'impronta precisa e particolare: calare le vicende fantascientifiche sul presente dell'uomo, improntando le storie e le trame anche su sfumature amare, ironiche e satiriche. In breve, Galaxy diventò l'epicentro di quella fantascienza sociologica che diede un aspetto decisamente impegnato a questo genere. Fu nelle sue pagine che venne pubblicata una delle opere fantascientifiche più note, Fahrenheit 451 di Ray Bradbury (trasposto cinematograficamente nel 1966 dal regista François Truffaut), dove si immaginava una società futura che distruggeva tutti i libri ancora in circolazione e che riecheggiava la "caccia alle streghe" invocata dal clima maccartista. E' facile intuire, quindi, come le atmosfere evocate da quel tipo di fantascienza non avessero ormai più nulla di utopico, come invece era successo con i romanzi di Campbell e "Doc" Smith.
Autori come Pohl, Vonnegut, Scheckey trasformarono le loro opere in laboratori di antiutopia dove, al posto di universi o realtà ipotizzabili, vennero descritte tutte quelle patologie sociali e culturali che affliggevano la Terra. Si avvertì soprattutto l'esigenza di mettersi dalla parte del diverso, con romanzi in cui gli eroi non erano più esseri umani, bensì robot e androidi. Fu sull'onda di queste emozioni che, negli anni immediatamente seguenti, si formò un gruppo di scrittori, soprattutto britannici, raccolti intorno al cosiddetto filone della New wave. Ne fecero parte autori come Ballard, Aldiss e Brunner in Inghilterra e Norman Spinrad negli Stati Uniti. L'irruzione di questa nuova corrente di science fiction portò a un radicale cambiamento soprattutto nel tipo di linguaggio che non si basò più sull'espressione di concetti esplicativi, con trame omogenee e lineari. Al loro posto furono sperimentati monologhi interiori, trame narrative spezzate a livello temporale e spaziale, flussi di coscienza rielaborati e modificati a livello soggettivo, al limite della stessa comunicabilità. E' il caso di James Ballard, uno degli autori più controversi e rivoluzionari della New wave, che decise di esplorare non lo "spazio esterno", bensì quello "interno", cioè le strutture psichiche e inconsce dell'uomo, con tutti i suoi paradossi e contraddizioni, sbilanciato tra il concetto di "reale" e di "immaginario". Un dualismo di fondamentale importanza, questo, che è stato ripreso, ampliato, perfezionato e "canonizzato" da quello che resta forse il più profondo e visionario scrittore di fantascienza che sia mai esistito: Philip K. Dick. Questo autore statunitense, morto nel 1982 all'età di 54 anni, ha conosciuto una grandissima fama solo dopo la scomparsa e le sue opere sono diventate, in breve tempo, dei veri e propri cult books.
Merito anche della straordinaria personalità e della particolarissima visione del mondo che Dick ha immesso nei suoi romanzi e racconti. A partire da quella che può essere definita la "trilogia" ideale, composta dai romanzi La svastica sul sole, Ubik e Un oscuro scrutare. Il primo, che rivelò clamorosamente il nome di Dick alla comunità fantascientifica, appartiene al cosiddetto genere dell'ucronia, cioè quello che narra vicende e fatti appartenenti a un mondo possibile, alternativo a quello reale. Nel caso specifico, ne La svastica sul sole s'immagina che le forze dell'Asse abbiano vinto la Seconda guerra mondiale e che i nazisti e i giapponesi si siano spartiti gli Stati Uniti, mentre all'Italia fascista sono andate soltanto le briciole. Sulla base di questa proiezione fantastorica, Dick ha imbastito una serie di personaggi e situazioni straordinariamente verosimili. Proprio questa verosimiglianza rappresenta il punto di partenza, il centro dal quale si dicotomizza ciò che è reale e ciò che è immaginario. Anche gli altri due romanzi sono stati costruiti e scritti da Dick per proiettare nei lettori impasti spazio-temporali, in cui la realtà e il suo simulacro si uniscono e si mescolano, costituendo una trama in cui i vari personaggi confluiscono in dimensioni dove il soggettivo e l'oggettivo perdono irrimediabilmente i reciproci contorni. La straordinaria capacità visionaria di questo scrittore ha permesso al cinema di trarre da un suo romanzo (Cacciatore di androidi) e da un suo racconto (Memoria totale) due celebri film. Il primo è Blade runner, un cult movie con la regia di Ridley Scott; il secondo, diretto dal regista olandese Verhoeven, è Atto di forza con Arnold Schwarzenegger.
Ma Dick e Ballard sono anche considerati padri e iniziatori di uno dei più celebri generi della fantascienza contemporanea: il cyberpunk, che la maggior parte dei critici fa iniziare da una data ben precisa, il 1984, quando lo scrittore americano William Gibson ha pubblicato il romanzo Neuromante, storia di un cow boy della rete, capace di muoversi come nessun altro all'interno dello spazio cibernetico. Ancora una volta, quindi, la fantascienza è riuscita a simboleggiare e a visualizzare i cambiamenti sempre più repentini della nostra società. In effetti, gli anni Ottanta hanno visto l'irruzione dei computer e la lenta espansione di quello che è il fenomeno principe del decennio successivo: Internet. Il genere del cyberpunk, forse come nessun altro filone della fantascienza, ha saputo quindi anticipare e sviluppare compiutamente un futuro che ormai si è tramutato e realizzato nel presente. Un caso unico, visto che Bruce Sterling, teorico del cyberpunk, ha definito all'inizio degli anni Novanta ormai esaurite le tematiche sviluppate dal movimento. In pochissimi anni, dunque, la fantascienza ha saputo intuire e focalizzare uno dei principali indirizzi che hanno portato allo sviluppo e all'odierna struttura della nostra civiltà. A questo punto, si pone inevitabilmente una domanda: ma se la fantascienza è in grado di anticipare lo svelarsi del futuro, è destinata a esaurirsi nel futuro stesso? "Direi proprio di no. Anzi, mai come adesso la funzione della fantascienza è stata così fondamentale", risponde Gianfranco Viviani, editore della casa editrice Nord di Milano, l'unica al mondo a pubblicare unicamente libri di Fantascienza & Fantasy con un catalogo che supera abbondantemente i mille titoli .
"L'aderenza del concetto fantastico con quello scientifico è prioritaria e ci ha permesso di decodificare, di volta in volta, ciò che è stato detto e raffigurato prima che gli eventi si realizzassero. Questo genere letterario non può esaurirsi o, come è stato annunciato in diverse circostanze per altri fattori o applicazioni, entrare in un contesto entropico. Per il semplice fatto che la fantasia nell'uomo, il motore che aziona tutta la macchina della science fiction, non potrà mai esaurirsi. Se ciò dovesse succedere, infatti, tutta la nostra civiltà crollerebbe miseramente. La fantasia stimola l'inventiva, entra in sintonia con l'afflato artistico, permette di scoprire e individuare. Senza di essa l'uomo non potrebbe sopravvivere". Resta da vedere, però, se la science fiction sia finalmente uscita dal "ghetto" che la cosiddetta "alta" letteratura l'ha relegata per così tanto tempo. "Ormai è da diverso tempo che la fantascienza non fa più parte di un genere minore, così come la letteratura horror e thriller", dice Gianfranco Viviani. "Non bisogna scordare, infatti, che Vance, Brunner, Heinlein, Dick, Le Guin, tanto per fare il nome di qualche "mostro sacro", prima di essere degli scrittori di fantascienza, sono soprattutto dei grandi scrittori. Una volta stabilito ciò, è ovvio che, nel corso del tempo, la science fiction, abbia assunto un'importanza sempre più evidente e marcata. Ma se questo discorso è valido per gli Stati Uniti e per alcuni Paesi europei, come la Gran Bretagna e la Francia, non lo è ancora purtroppo per l'Italia. "Il fatto è che nel nostro Paese, effettivamente, la fantascienza non si è ancora scrollata di dosso un determinato processo di emarginazione.
Il pubblico italiano, e qui mi riferisco soprattutto ai lettori della nostra casa editrice, è composto dagli aficionados, dagli appassionati che ci seguono fedelmente da quasi trent'anni. Indubbiamente, per fare cambiare le cose bisogna aumentare il numero di coloro che devono scoprire e amare questo genere letterario. Questo perché ci sono ancora riserve, dubbi, cattiva informazione intorno
Una scena del celeberrimo film Guerre stellari, del quale
Hollywood si accinge a produrre una nuova trilogia
alla science fiction nel nostro Paese, al punto che alcuni titoli di fantascienza della nostra casa editrice hanno ottenuto un più che lusinghiero successo proprio perché non sono stati inseriti in collane dedicate a questo specifico genere. L'importante, quindi, è cercare di cancellare questi luoghi comuni. Non sarà facile, ma il fatto che da tre decenni continuiamo ad essere il punto di riferimento principe della science fiction in Italia, ci fa ben sperare". Una speranza che nasce dal fascino che sprigiona questo genere, capace di immaginare e anticipare diverse scoperte e invenzioni scientifiche che si sono effettivamente realizzate nel tempo. La medicina e la biologia sono tra i campi più privilegiati e sfruttati dagli autori di science fiction. Se già Robert Louis Stevenson, nel 1886, ne Lo strano caso del Dottor Jekyll e Mister Hyde, aveva descritto una storia in bilico tra la fantascienza e l'horror attraverso misteriosi procedimenti biochimici, è proprio la fantascienza del Novecento a rappresentare in modo compiuto e preciso fenomeni che, ormai, fanno parte del nostro presente. Come nel caso della clonazione. A partire da Asimov che, lo ricordiamo ancora, prima di essere uno dei maggiori scrittori di science fiction, è stato un famoso biochimico, fino ad altri autori come Blish, Williamson, Farmer che hanno narrato nei loro romanzi e racconti la riproduzione genetica in specie umane e aliene. La medicina, da parte sua, ha sempre ricevuto una particolare attenzione dagli scrittori di questo genere letterario. Tra i campi più sfruttati sicuramente quello relativo all'epidemiologia, con morbi devastanti capaci di minacciare l'intera umanità, come hanno raccontato Drachman, Maine, Harrison, Crichton. Molte volte, la science fiction ha elaborato e decodificato, attraverso l'azione di elementi esterni e letali (come la minaccia rappresentata da extraterrestri provenienti da altre galassie), strutture psichiche che sono aumentate progressivamente nel corso di questo secolo. In primo luogo la paranoia, descritta in modo magistrale soprattutto dal grande genio di H. P. Lovecraft che, come nessun altro, è riuscito a definire i processi mentali che colpiscono e modificano i comportamenti umani di fronte alla paura e alla presenza del diverso. Questo tema, inoltre, è stato certamente uno dei più utilizzati dagli scrittori di fantascienza a partire dagli anni Cinquanta (aspetti sociologici) e dagli anni Sessanta (problemi ecologici ed economici), soprattutto da autori britannici appartenenti, come abbiamo visto, alla cosiddetta New wave. In tutta la storia di questo genere, però, una materia è stata descritta, analizzata, proiettata come nessun'altra: quella delle scoperte e delle invenzioni, che rappresenta il centro di tutto l'universo fantascientifico.
Inventare e scoprire porta inevitabilmente con sé non solo la novità, il salto in avanti, la consapevolezza di salire sul piano del progresso ma, parallelamente, comporta anche incognite, dubbi, incertezze. La fantascienza si è impossessata fin da subito di questa discriminante. E l'era della bomba atomica ha segnato indubbiamente la svolta di questa tematica. Proprio queste straordinarie capacità da parte della fantascienza di analizzare e rendere esplicita la visione del doppio (cioè manifestare il dubbio presente nella certezza), di spiegare la causa attraverso la narrazione dell'effetto, fanno di questo genere letterario un veicolo formidabile per concepire la grandezza e la miseria dell'uomo, le sue speranze e le sue paure. Forse, mai come adesso, la science fiction può indicare una strada, una direzione all'essere umano in questo transito temporale tra il secondo e il terzo millennio. Le idee, unite alla fantasia, rappresentano il migliore passaporto esistenziale per aprire la porta del Duemila ed entrare con minore paura e angoscia. Allo stato attuale, la science fiction cela in sé l'immagine di colui che vigila e osserva, una presenza che ci segue silenziosamente, immersi in quella che noi crediamo si chiami "realtà". Questa presenza ricorda ossessivamente uno dei personaggi più misteriosi e affascinanti creati da Philip K. Dick nel suo romanzo Ubik, il quale si manifestava agli altri sempre con queste inquietanti parole: "IO SONO VIVO E VOI SIETE MORTI".
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di ANDREA BEDETTI
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