Il profeta è la coscienza critica del popolo, una coscienza critica non tanto in nome della ragione, quanto in nome della parola di Dio. Il profeta perciò è un «essere-contro» (prima lettura); egli smaschera, ovunque si trovino, le subdole complicità del male: denuncia i vizi del popolo, la falsità del culto, gli abusi di potere, ogni forma di idolatria, di ingiustizia, di «catturazione» di Dio.
La denuncia profetica è «giudizio di Dio» sulle vicende umane e insieme comunicazione del suo santo volere. È sempre perciò un invito alla conversione del cuore, personale e collettiva. E opera di un amore appassionato per gli uomini e per Dio.
Il profeta è il difensore degli oppressi, dei deboli, degli emarginati; sempre dalla loro parte; è la loro voce; è la voce di chi non ha voce; è chiamato ad essere responsabile di Dio di fronte agli uomini e responsabile degli uomini di fronte a Dio.
Il profeta è l’uomo della speranza. La denuncia del male non lo inacidisce; egli guarda avanti con fiducia. Nei momenti più duri della storia del popolo eletto (deportazioni, esilio, sofferenze) le parole del profeta sono parole di consolazione e di fiducia. Denunciata l’infedeltà del popolo, il profeta annuncia la fedeltà di Dio, su cui si fonda solidamente la speranza.
Il profeta è l’uomo della «alleanza». È un uomo che ha visto Dio: non certo Dio in se stesso. Dio resta sempre al di là, è sempre un Dio «nascosto». Il profeta vede ciò che Dio fa, vede il suo piano di amore, fa una lettura divina degli eventi umani.
Cristo profeta, e più che profeta
Gli Ebrei vivevano apparentemente una storia profana simile in tutto alla storia degli altri popoli. Il profeta invece legge la storia come un dialogo drammatico tra Dio e l’uomo, e così la trasforma in una storia «sacra».
Il profeta legge sempre il presente con uno sguardo retrospettivo (alleanza del Sinai) e uno sguardo prospettico (nuova alleanza). Perennemente insoddisfatto del presente, egli fa camminare la storia e la spinge verso il compimento: l’alleanza, la comunione d’amore dell’umanità con Dio.
Ma quando il compimento giunge, si realizza in modo del tutto inatteso: l’alleanza è Gesù di Nazaret, Uomo-Dio. Una unione dell’uomo con Dio più perfetta è impossibile. Egli non solo parla a nome di Dio ma è Dio che parla in lui. È rivelazione perfetta. In lui coincidono la profezia e l’oggetto della profezia. Per questo Gesù è profeta, e insieme più che profeta (vangelo).
La Chiesa popolo di profeti
Come Corpo di Cristo, la Chiesa partecipa al carisma profetico del suo Capo. Essa ha l’autorità di leggere gli eventi nella fede, in rapporto a quanto è stato compiuto una volta per sempre in Gesù Cristo, e a quanto deve essere ancora compiuto perché il Corpo raggiunga la sua statura adulta.
Negli eventi essa scopre il terreno privilegiato in cui il Dio di Gesù Cristo non cessa di chiamare l’uomo all’incontro con lui, in vista della costruzione del Regno.
La Chiesa è comunità profetica in concreto, in quanto è comunità di amore gratuito ed universale (come Paolo prospetta nella seconda lettura). È una novità assoluta ed inaudita. È una denuncia concreta fatta con la vita e non con le parole per una società che si costruisce sull’egoismo, sull’arrivismo, sul profitto, sulla negazione pratica di Dio.
Ma è insieme una profezia concreta di ciò a cui nel profondo «aspira» ogni uomo e ogni comunità umana. Per questo dice che la speranza della comunione non è un’illusione.
Ma come a Geremia e a Cristo l’essere-contro per amore fruttò sofferenze, persecuzione e morte, tale è anche la sorte della Chiesa se è, secondo la sua vocazione, una comunità profetica. Non c’è profezia senza sofferenza.
Quando Gesù annunzia il Regno, mette di fronte a una scelta che sconvolge la nostra esistenza. Quelli che lo seguono devono buttare via la propria vita, per guadagnare tutto... Ogni logica umana viene così capovolta. Il Regno non sta nel dominio e nella forza, ma nel lasciarsi coinvolgere nella parola e nella vicenda di Gesù di Nazaret: vivere come lui, obbediente senza alcuna riserva alla volontà di Dio, e uomo per gli altri.
Prende la croce chi assume fino in fondo il peso gravoso delle situazioni reali della vita: non cerca motivi per scaricare sugli altri le proprie responsabilità, ma si impegna per il servizio di Dio e per il bene degli altri fino al dono supremo di sé.
Negli eventi essa scopre il terreno privilegiato in cui il Dio di Gesù Cristo non cessa di chiamare l’uomo all’incontro con lui, in vista della costruzione del Regno.
La Chiesa è comunità profetica in concreto, in quanto è comunità di amore gratuito ed universale (come Paolo prospetta nella seconda lettura). È una novità assoluta ed inaudita. È una denuncia concreta fatta con la vita e non con le parole per una società che si costruisce sull’egoismo, sull’arrivismo, sul profitto, sulla negazione pratica di Dio.
Ma è insieme una profezia concreta di ciò a cui nel profondo «aspira» ogni uomo e ogni comunità umana. Per questo dice che la speranza della comunione non è un’illusione.
Ma come a Geremia e a Cristo l’essere-contro per amore fruttò sofferenze, persecuzione e morte, tale è anche la sorte della Chiesa se è, secondo la sua vocazione, una comunità profetica. Non c’è profezia senza sofferenza.
Quando Gesù annunzia il Regno, mette di fronte a una scelta che sconvolge la nostra esistenza. Quelli che lo seguono devono buttare via la propria vita, per guadagnare tutto... Ogni logica umana viene così capovolta. Il Regno non sta nel dominio e nella forza, ma nel lasciarsi coinvolgere nella parola e nella vicenda di Gesù di Nazaret: vivere come lui, obbediente senza alcuna riserva alla volontà di Dio, e uomo per gli altri.
Prende la croce chi assume fino in fondo il peso gravoso delle situazioni reali della vita: non cerca motivi per scaricare sugli altri le proprie responsabilità, ma si impegna per il servizio di Dio e per il bene degli altri fino al dono supremo di sé.
2010 Don Alberto Abreu
Gio Mar 22, 2012 10:10 pm Da Filippo Bongiovanni
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